Francesco Manacorda, La Stampa 15/10/2013, 15 ottobre 2013
RIVOLUZIONE NEL SALOTTO BUONO PER UNA GOVERNANCE PIÙ MODERNA
Chiamarla rivoluzione non è esagerato. Il patto più patto di tutti, il patto che regge(va) uno dei «salotti buoni» dove si ritrovano i nomi più noti del capitalismo italiano, si scioglie nel giro di due settimane, dopo quasi un trentennio, per accordo unanime dei suoi sottoscrittori. Dall’accordo di sindacato sul 60% e passa di Rcs, una percentuale di controllo blindatissima, a una società senza nemmeno un più leggero patto di consultazione. Per il sistema finanziario nazionale è una scossa profonda, per la storia economica degli ultimi decenni un colpo di scena, per il capitalismo di relazione un colpo e basta.
I tredici pattisti - in testa la Fiat (che possiede anche la Stampa) con il 20,5% del capitale primo socio di Rcs - hanno «condiviso - spiega un loro comunicato - la ferma convinzione che una gestione e una governance efficiente, altamente responsabile, non richiedano più il tipo di collaborazione assicurata dal patto ora in scadenza». Non più una stanza dei bottoni sopra il consiglio d’amministrazione, insomma, ma una governance moderna: ai manager autonomia per fare le loro scelte e responsabilità dei risultati ottenuti; ai consiglieri d’amministrazione il compito di vegliare sull’andamento della società. È una rivoluzione ma è anche un passo naturale dopo che nell’aprile dello scorso anno, proprio su impulso del presidente Fiat John Elkann, il cda era già cambiato inserendo una maggioranza di amministratori indipendenti mentre i soci - qualcuno a malincuore come Diego Della Valle - facevano un passo indietro dagli organi sociali.
C’è una distanza siderale, comunque, da quel patto di consultazione che nel 1984 unì Gemina, gruppo Arvedi e Mittel per blindare il controllo della Rizzoli appena uscita dalle ombre della P2 e dal disastro finanziario. Allora l’obiettivo era quello di mettere in sicurezza il gruppo editoriale e la parola d’ordine che guidava le scelte degli azionisti principali - molti i nomi che c’erano all’epoca ci sono ancora oggi, dal gruppo Agnelli a quello Pesenti, da Pirelli a Mediobanca, alla Mittel - era «equilibrio». Nel corso di un trentennio, però, quella ricerca dell’equilibrio ha portato il complesso e non sempre sereno condominio dei pattisti Rcs a sottovalutare troppo spesso i risultati industriali del gruppo, privilegiando invece un sistema di veti incrociati, di lunghe ed estenuanti negoziazioni: il rischio dell’immobilismo è diventato troppe volte una realtà. I soci se ne sono accorti anche per l’effetto sui loro portafogli.
Ora, invece, la scommessa è quella di dare un indirizzo strategico netto al gruppo per riportarlo a una redditività soddisfacente. Accanto a Fiat, che con la sua crescita dal 10 al 20,5% del capitale si è guadagnata il ruolo di socio industriale di riferimento, ci sono altri azionisti finora aderenti al patto e interessati allo stesso progetto di modernizzazione. Intesa-Sanpaolo con il 6,5%, la Pirelli e la Fonsai (ormai passata nell’orbita Unipol) con il 5,5% circa ciascuno, l’Italmobiliare dei Pesenti con il 3,8%, i Lucchini con l’1,3%. Anche Mediobanca, che ha il 15% del capitale e che vorrebbe uscire dall’azionariato, farà un tratto di strada non breve con gli altri soci: piazzetta Cuccia ha già spiegato che venderà nell’arco del prossimo triennio parte delle sue azioni e che per l’appunto lo farà gradualmente sul mercato, senza privilegiare questo o quell’altro socio. Anche fuori dal vecchio patto ci sono azionisti che guardano con interesse al progetto, a cominciare dai Benetton. E in quanto a Diego Della Valle, da tempo generoso di dichiarazioni contro la Fiat e la sua presenza in Rcs, pare destinato a restare fermo sotto il 10% del capitale, privo di alleati per eventuali battaglie.
Senza più un patto di sindacato, Rcs può essere anche contendibile: le azioni dei grandi soci non sono più vincolate all’accordo che in caso di vendita obbligava a dare diritto di prelazione agli altri pattisti. Di fatto però il filo rosso che lega molti grandi soci - anche dopo lo scioglimento del patto - è quello della stabilità, finalizzata al raggiungimento degli obiettivi affidati all’amministratore delegato Pietro Scott Jovane. Nel comunicato di ieri è scritto che sono unanimemente consapevoli dell’«importanza della continuità, stabilità e indipendenza della gestione editoriale e della conduzione della maggiore testata», ossia il Corriere della Sera. Anche per questo non toccheranno l’attuale cda fino alla sua scadenza naturale, tra diciotto mesi.