Federico Varese, La Stampa 15/10/2013, 15 ottobre 2013
CATTURATO IN BELGIO IL “PADRINO” DEI PIRATI SOMALI
Hollywood ha deciso di occuparsi di pirati somali. «Captain Phillips», diretto da Paul Greengrass (il regista di «The Bourne Supremacy» e «United 93») e interpretato da Tom Hanks, è stato presentato ieri alla stampa inglese e uscirà in Italia il 31 ottobre. Racconta del dirottamento nel 2009 di un mercantile americano e della rocambolesca operazione che portò alla liberazione della nave e alla morte di tre pirati. Un dialogo tra il protagonista e un somalo, Muse, è particolarmente significativo. Muse si vanta di aver incassato sei milioni di dollari di riscatto. Phillips-Hanks risponde: «Se sei così ricco, perché sei qui?». Gli sceneggiatori hanno colto esattamente il nocciolo della questione: vi sono individui che dalla terraferma guidano le operazioni, mentre chi rischia la vita nel Golfo di Aden e nell’Oceano Indiano è manovalanza di poco valore.
Ma chi sono gli individui che manovrano i disperati che si trovano sulle barchette a motore con un AK-47 in mano? E qui entra in scena un altro personaggio: Mohamed Abdi Hassan, detto Afweyne, «grande bocca» in somalo. È stato arrestato ieri all’aeroporto di Bruxelles mentre scendeva da un aereo proveniente da Nairobi. Afweyne è uno dei leader più carismatici della rete di pirati basata nelle città di Hobyo e Harardheere, mille chilometri a nord di Mogadiscio. È cruciale distinguere tra coloro che effettivamente salgono sulle barchette e assaltano navi e petroliere e gli individui come Afweyne che tengono in mano i fili del sistema della pirateria. Agli equipaggi danno cibo e acqua potabile a prezzi esorbitanti una volta che questi tornano a terra con il bottino. Inoltre hanno il potere di scegliere chi entra a far parte di ogni spedizione e chi no e quindi, per essere selezionati, «manovali» come Mule pagano una tangente ai «caporali» in salsa somala.
Le opportunità di guadagno per Afweyne non si fermano qui: egli è noto per essere un importante trafficante di qat. Il qat è una droga locale di natura anfetaminica con un forte effetto psicotropo, che genera eccitazione e dipendenza. Afweyne otteneva profitti del 300% nel qat che vendeva agli equipaggi. Non ci deve quindi stupire che i pirati che compaiono nei film di Hollywood si trovino con ben pochi soldi in tasca o addirittura siano in debito con Afweyne, come mi dice la professoressa Anja Shortland, la maggiore esperta di pirateria somala nel Regno Unito.
Afweyne e i suoi colleghi hanno fatto anche altro. Nel 2009 hanno creato una borsa valori della pirateria. Durante riunioni periodiche, chiunque poteva contribuire a finanziare una spedizione e, in caso di successo, avrebbe ricevuto i dividendi. Secondo fonti credibili, anche membri della diaspora somala in Canada e a Londra facevano pervenire le loro offerte. Nel 2009, 72 azioni criminali furono pianificate e dieci andarono in porto. Afweyne gestiva l’aspetto finanziario di ogni operazione e i contatti con le assicurazioni occidentali.
Quando ieri è stato arrestato, Afweyne ha mostrato alle autorità belghe un passaporto diplomatico concesso da Sharif Sheikh Ahmed, presidente della Somalia dal 2009 al 2012, un islamista relativamente moderato, ma favorevole all’introduzione della legge islamica (sharia) nel Paese. La comunità internazionale si era accorta che Afweyne godeva dell’appoggio dell’amministrazione somala quando fu fermato in Malaysia nel 2012, ma in quel caso le autorità gli permisero di ripartire alla volta di Mogadiscio. Afweyne era diventato un consulente del governo per la politica anti-pirateria. Poi lo scorso gennaio ha convocato una conferenza stampa per dire: «D’ora in poi rinuncio alle mie attività criminali e mi impegnerò a convincere altri a fare lo stesso».
È difficile valutare fino a che punto la sua dichiarazione sia sincera. Innanzi tutto la conferenza stampa è avvenuta dopo il suo breve arresto in Malesia, quando le Nazioni Unite avevano fatto richiesta formale di spiegazioni al governo.
In Somalia inoltre molti conoscono il figlio di Afweyne, il portavoce ufficiale dei pirati che operano tra Eel, Hobyo e Harardheere, le stesse zone di influenza del padre. Piuttosto che convincere i pirati a deporre le armi, sembra che padre e figlio siano dei negoziatori quasi ufficiali. Stupisce però che tali negoziati, se vi sono, non avvengano in maniera trasparente e con il coinvolgimento dell’Onu. Rimane forte il sospetto che Afweyne avesse deciso di mettere al sicuro i milioni di dollari che ha guadagnato in circa un decennio di attività e volesse entrare in politica.
Negoziare con gli organizzatori della pirateria dà risultati limitati. Insieme ad Anja Shortland, ho studiato le motivazioni che spingono diverse comunità somale a non accettare la pirateria. La ragione è semplice: per quanto siano alti i profitti, i rischi sono ancora maggiori e i vantaggi inferiori a quelli che si ottengono tassando il commercio di merci legali. È solo nei casi in cui il commercio legale non è possibile o viene improvvisamente interrotto da fattori esterni che i clan locali decidono di proteggere i pirati. Una politica mirata allo sviluppo delle infrastrutture e al sostegno delle attività economiche è la ricetta migliore per sconfiggere Afweyne. Chissà, forse il prossimo film di Hollywood racconterà proprio questa storia.