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 2013  ottobre 15 Martedì calendario

LA BANCAROTTA DI DETROIT QUALCHE LUCE ALL’ORIZZONTE


Wall Street ai massimi e con il Pil Usa in crescita su livelli per noi inarrivabili, ci risulta incomprensibile che la città di Detroit sia finita in bancarotta. Sono innumerevoli la città in Italia con buchi di bilancio pesantissimi, spesso a causa di malgoverno, che riescono sempre a cavarsela bussando a Roma. Non sarebbe il caso di iniziare a colpirne uno per salvarne cento, come diceva la buonanima di Mao Zedong?

Maura Bressani
maurabressani@hotmail.it

Cara Signora,
Il viaggiatore europeo che attraversa gli Stati Uniti in automobile s’imbatte continuamente in cartelli che annunciano la prossima città e forniscono due dati: il numero degli abitanti e l’anno di fondazione. Il secondo dato è preceduto da «incorporated», un participio passato che viene generalmente utilizzato per la creazione di aziende e società dotate di personalità giuridica, Negli Stati Uniti, quindi, una città è semplicemente un’associazione soggetta come ogni altra ai rischi dell’insolvenza e del fallimento.
La ragioni del fallimento, nel caso di Detroit, sono numerose. Tensioni razziali sin dalla fine della Seconda guerra mondiale, troppa immigrazione negli anni del boom automobilistico, crisi dell’auto sin dagli anni della grande concorrenza giapponese, esodo della popolazione bianca verso le periferie residenziali, continua mortalità delle aziende che sono state maggiormente colpite dalla globalizzazione. È vero che le industrie automobilistiche, dopo i generosi aiuti del governo federale, stanno rialzando la testa, ma nel frattempo il cordone ombelicale che legava il loro destino a quello della città si è rotto. Ciascuna di esse ha la sua logica e va per la propria strada. Le cifre del declino sono eloquenti. I suoi 700.000 abitanti sono meno della metà di quelli che abitavano Detroit nel 1950. Il debito ammonta a 19 miliardi di dollari. Gi edifici vuoti sono settantamila. I servizi pubblici sono spaventosamente carenti. In un lungo articolo di Alberto Pasolini Zanelli apparso sul Giornale di Brescia, leggo che il valore medio di una casa non supera gli ottomila euro. In altre parole, il valore patrimoniale della città è drasticamente diminuito e i creditori di Detroit dovranno accontentarsi di qualche briciola.
Secondo Pasolini Zanelli, nel fallimento di Detroit vi sarebbe anche lo zampino della politica. La città è tradizionalmente democratica, lo Stato a cui appartiene (il Michigan) tradizionalmente repubblicano e poco incline a sostenere finanziariamente la città degli avversari. Sembra tuttavia che il governatore Rick Snyder abbia deciso di legare il suo nome al risanamento di Detroit e abbia qualche buona idea. Dal bilancio federale, nel frattempo, dovrebbero venire 300 milioni di dollari, una goccia nel mare, ma destinati soprattutto al miglioramento della viabilità: una forma dietro la quale si nasconde, probabilmente, l’intenzione di eliminare interi quartieri, ormai pressoché interamente disabitati. Non tutto, comunque, è da buttare via. Il Detroit Institute of Arts è uno dei più ricchi e attraenti musei americani. Sul New York Times dell’11 settembre è apparsa la lettera di un lettore che propone di proclamarlo monumento nazionale.