Giorgio Montefoschi, Corriere della Sera 15/10/2013, 15 ottobre 2013
MARTELLI, GENERAZIONE ALLO SPECCHIO VENT’ANNI DOPO L’ECLISSE SOCIALISTA
Un giorno, nel lontano settembre del 1972, Bettino Craxi (trentottenne, astro nascente del socialismo italiano), chiese a Claudio Martelli (ventottenne, ex repubblicano confluito nel Psi, studente di filosofia laureato con Dal Pra, insegnante, già coniugato con una moglie giovanissima, ora fresco sposo della ventiduenne Annarosa, appartenente alla ricca borghesia meneghina), se aveva voglia di accompagnarlo a trovare Nenni a Crans sur Sierre. Martelli — che a Nenni aveva scritto una appassionata lettera — accettò entusiasta. Le due coppie (Craxi e sua moglie, Martelli e sua moglie), partirono e raggiunsero l’anziano leader socialista, che già scalpitava per salire in un rifugio. Dopo pranzo, le coperte attorno alle gambe, si parlò di tutto: il prossimo congresso, le faccende di casa nostra, la politica internazionale. A un tratto, Nenni domandò a Craxi notizie su quel giovanotto che gli aveva fatto conoscere. Craxi lo descrisse, parlò dei suoi studi e specificò il suo particolare interesse per Bayle. Nenni, francofono, si rivolse a Claudio e disse: «Beyle cioè Stendhal, lo scrittore?». «No, Bayle Pierre,il filosofo», rispose Claudio, felice di essere «con loro, con Pietro e con Bettino».
Dunque, Bayle era il filosofo francese autore del famoso Dizionario storico-critico , precursore dell’Illuminismo: una delle innumerevoli letture alle quali, negli anni dell’apprendistato, si era abbeverato il «professorino» (come lo chiameranno più tardi i compagni nelle sezioni socialiste), che variavano dai romanzi dell’esistenzialismo francese (letti con gran consumo di Gauloise e Pernod a Parigi), a Gramsci e Lukács e ai testi sacri del marxismo (imprescindibili per chiunque volesse avere un minimo di ossigeno per sopravvivere nella cupa cappa culturale ancora stalinista di quel tempo), ai classici del pensiero liberale e socialista.
Pure, un’aria stendhaliana attraversa Ricordati di vivere , il corposo, dettagliato e intrigante libro in cui Claudio Martelli parla di se stesso, della sua vita privata e politica, e di conseguenza descrive il periodo storico del nostro Paese che va dai primi Anni Settanta ai primi Novanta: quando Tangentopoli e Mani pulite squagliarono come neve al sole i partiti che rappresentavano oltre la metà dell’elettorato italiano (mettendo su un piatto d’argento i loro voti a chi ebbe la furbizia di saperseli prendere).
Perché dico che un’aria stendhaliana attraversa Ricordati di vivere ? Per come, in questo libro, il suo autore si pone. In altri termini, per la sincerità (talvolta perfino impudente) con la quale mette a nudo le sue contraddizioni. A cominciare dal conflitto (a tratti lacerante) fra la filosofia e il primum fare della politica; fra le scelte della morale che si rivolge al Bene e quelle della politica che servono il Potere; fra il libertinismo, dichiarato, e il suo romanticismo; fra l’affettuosità e la freddezza; il coraggio che non fa calcoli e i calcoli che seminano ambiguità o sospetto; fra un modo di fare a volte imperioso e l’antica, insopprimibile gentilezza lombarda. Contraddizioni e dissidi personali che non abbandoneranno mai il protagonista di un’avventura risoluta, rischiosa, entusiasmante, gonfia di successi e di delusioni, ferite e colpi bassi, e sempre sul crinale stretto di una scommessa, ma che a poco a poco — nello scorrere di pagine, anni ed eventi — si trasferiranno da lui stesso alle vicende pubbliche che Martelli racconta, agli interpreti palesi e nascosti di quelle vicende, al buio — spesso prevalente sulla luce — di un’epoca che, a fronte dello sconfortante spettacolo offerto nell’ultimo ventennio (principalmente da una parte, ma anche dall’altra), qualche volta ci chiediamo se non dobbiamo paradossalmente rimpiangere.
Il libro di Martelli è un libro tumultuoso e drammatico. Tumultuoso, perché i «fatti» sono costantemente accompagnati da una sorta di tumulto interiore di chi scrive, che non riesce a placarsi neppure nei momenti di maggior successo politico e personale, e insieme dalla angosciante sensazione della brevità e velocità del tempo. Drammatico, perché tutti i «fatti» che Martelli analizza e racconta, così come i rapporti di non poco rilievo con gli individui che vivono nelle pagine, hanno un corso drammatico, mai lineare, che — questa volta sì— dipende moltissimo dalla storia.
Una storia — che non è soltanto la storia dell’ultimo Partito socialista, ma che nel Psi ha un cardine di potere e scontro — talmente fitta di contrasti, lotte, zone oscure (e anche misteri veri, sui quali non è stata fatta chiarezza) che risulta difficile sintetizzare in un riassunto. Il Sessantotto, con la sua intransigenza nei confronti di chi rifiutava i diktat delle sciamannate assemblee, il «riformismo» (il giovane Martelli era per l’appunto riformista) equiparato al fascismo, e l’uso cieco della violenza che fu il gradino d’entrata nel labirinto poi fatale delle Brigate rosse e degli anni di piombo; il «caso Moro» con socialisti e radicali da una parte per la trattativa, comunisti e quasi tutta la Dc contro ogni trattativa; le strategie, le lotte culminate nel Midas per rovesciare il potere all’interno del Partito socialista; le sfiancanti battaglie interne seguite alla conquista della segreteria e dei posti chiave e quelle con gli avversari politici e gli alleati; il desiderio, forse utopistico, di cambiare radicalmente il partito e la società italiana, culminato nel discorso vibrante su «meriti e bisogni» che Martelli fece a Rimini (gli valse applausi scroscianti dalla platea in piedi, mentre solo Craxi rimaneva seduto), e le resistenze di Craxi; la lotta alla mafia con Martelli ministro di Grazia e Giustizia, avversata dai contrasti nella magistratura, e non solo da quelli; la tragedia di Falcone, chiamato da Martelli al ministero; l’affare Enimont, con i suicidi di Gardini e Cagliari e, prima, il bigliettino del conto Protezione dettato da Craxi a Martelli e finito misteriosamente nelle carte di Gelli; il progressivo distanziarsi delle posizioni e delle idee fra Craxi e il suo delfino; Tangentopoli; il presunto tradimento del delfino; la fine di Craxi, del Psi e di tutto: non c’è momento della vita privata e pubblica di Claudio Martelli, il «professorino» che si metteva gli occhiali finti per sembrare più grande, che non abbia le stigmate di una perpetua battaglia. Persino Roma, la città nella quale Martelli si è trasferito da Milano, è stata oggetto di sentimenti opposti: prima detestata, poi amata incondizionatamente (magari correndo il rischio di farsi avvelenare dalla sua «grande bellezza»).
La figura di Bettino Craxi giganteggia in Ricordati di vivere (libro che offre una carrellata di ritratti imponente: da Brandt a Mitterrand, da Gelli a Gardini). Giganteggia con la sua fisicità spesso sgradevole, alla quale Martelli non risparmia nulla; con la sua intelligenza e la sua spregiudicatezza politica (che però non gli consentì mai di conquistare la «gente» e lasciò il partito ai suoi numeri); col suo anticomunismo, a volte preveggente a volte incistato nel rancore; con la sua rapacità disastrosa nei confronti del potere; con la sua diffidenza verso tutti, compresi i più cari amici (come Martelli, di cui disse che avrebbe «fatto poltiglia»); con la sua incapacità di distaccarsi dalle proprie convinzioni, con la sua solitudine (anche postuma, difesa a oltranza dalla figlia Stefania), con la sua ingiusta morte.
Ricordati di vivere , un libro che farà molto discutere, è la storia di un intellettuale che ha nutrito dei veri ideali, ha fatto politica e ha cercato, per i suoi ideali, di cambiare la politica ed è stato risucchiato dalla politica; di un’epoca che funestamente prepara i venti anni successivi; e di una travagliata, complessa, ma profonda amicizia. Oggi, gli uomini politici di quell’epoca sono morti o scomparsi dalla scena; quei partiti sono stati polverizzati e i partiti che hanno preso il loro posto sono vuoti di valori e di idee; la «gente» non crede più alla politica; la corruzione è aumentata a dismisura, perché non si ruba più per i partiti, ma per le proprie tasche; e Claudio Martelli — che ora, con questo libro, ricorda i suoi meriti, riconosce i suoi errori e non rinnega nessuna delle sue idee — se ne sta, con rara dignità, nel deserto. Da vent’anni ci sta. E venti anni fanno impressione.