Giovanni Bianconi, Corriere della Sera 15/10/2013, 15 ottobre 2013
COSÌ UNA SENTENZA SMONTA L’INCHIESTA SULLA TRATTATIVA
Non è una sentenza definitiva, d’accordo, bensì un pronunciamento di primo grado suscettibile di essere modificato in appello e in Cassazione. Ma per quanto siano solo un passaggio intermedio, le motivazioni con cui la quarta sezione del tribunale di Palermo ha assolto gli ex responsabili del Ros dei carabinieri Mario Mori e Mauro Obinu dall’accusa di non aver voluto catturare Bernardo Provenzano nel lontano 1995, rappresentano una forte ipotetica sul processo-gemello, quello per la presunta trattativa fra lo Stato e la mafia nella stagione delle stragi. Perché secondo i pubblici ministeri (gli stessi nei due dibattimenti) l’ipotetico favoreggiamento del latitante «storico» di Cosa nostra fu consumato proprio in ossequio alla trattativa. Secondo i giudici, invece, il favoreggiamento non ci fu, e nemmeno la trattativa è così sicura. Anzi. Talvolta appare «immaginale», ma mai «sufficientemente provata».
Le oltre 1.300 pagine della sentenza sono un susseguirsi di dubbi, perplessità e smentite rispetto a un quadro probatorio che «si presenta spesso incerto, talora confuso ed anche contraddittorio». E cambia il giudizio storico complessivo sulla stagione che seguì gli eccidi di Capaci e via D’Amelio. Ad esempio: l’arresto di Salvatore Riina operato dallo stesso Ros il 15 gennaio 1993, che per l’accusa fu un primo frutto del «patto occulto» siglato con Provenzano, per i giudici «ha costituito una svolta che ha restituito fiducia e slancio all’azione di contrasto all’associazione mafiosa, che da lì in poi ha conosciuto una ragguardevole continuità». Ancora: la storia dei 300 e passa decreti di «carcere duro» revocati dall’ex ministro della Giustizia Conso nell’autunno ‘93 — altra conseguenza della trattativa, nella ricostruzione dei pm — saranno pure stati «un segnale di distensione» , che però sembra «eccessivamente enfatizzato dall’accusa»; avvenne «per cercare di evitare i colpi di un terrorismo mafioso che sembrava in quel momento incontrollabile», e in ogni caso «non vi è prova della presunta trattativa che avrebbe condotto al cedimento del ministro Conso».
Sostiene il tribunale che «un’interpretazione degli avvenimenti che non tenga conto della peculiarità dei contesti temporali in cui si è operato», soprattutto a vent’anni di distanza dai fatti, «rischia di essere fuorviante e di fare apparire, attraverso facili dietrologie e impropri richiami moralistici, complicità e connivenze gli sforzi di chi magari cercava in quei difficili momenti di evitare eventi sanguinosi in attesa di tempi migliori. I giudici si spingono fino a rendere omaggio agli ufficiali che «portarono a termine la cattura del Riina», mentre avanzano ombre pesanti sui testimoni dei pm. In particolare Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco mafioso Vito (a sua volta «personaggio quanto mai inquietante e tutt’altro che trasparente»), rivelatosi tutt’altro che attendibile, vittima di una «narcisistica propensione ad affermazioni eclatanti che gli facessero guadagnare la ribalta mediatica» e guidato dal «velleitario tentativo di conquistare con gli inquirenti una posizione di forza che preservasse il patrimonio illecitamente accumulato dal padre».
Ce n’è pure per l’ex ministro Martelli, definito testimone dai ricordi «non sempre limpidi», che paiono «largamente influenzati da quanto appreso a posteriori nonché, probabilmente, da una sorta di inclinazione a rappresentarsi come un puro paladino dell’antimafia a petto di atteggiamenti opachi di altri». Ad esempio l’altro ex ministro Mancino, il quale nel dibattimento sulla trattativa si trova imputato di una falsa testimonianza che i giudici del tribunale non hanno minimamente riscontrato. E che Paolo Borsellino sia stato ucciso perché aveva saputo della trattativa e s’era opposto, «è frutto di una mera ipotesi che potrebbe essere plausibile, ma non trova supporto probatorio in nessun sicuro elemento».
Resta il mancato blitz del ‘95, dovuto a «scelte operative discutibili»; i carabinieri optarono per una «condotta attendista», nella quale «non mancano aspetti che sono rimasti opachi», come nel caso della mancata perquisizione del covo di Riina, ma il patto Provenzano non è provato. E resta un altro processo basato su elementi quasi identici, appena cominciato, che da ieri è diventato un po’ più difficile per l’accusa.