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 2013  ottobre 15 Martedì calendario

UN PAESE AL BIVIO: PAGARE I CREDITORI CINESI O LA SICUREZZA SOCIALE?


Warren Buffett, il re dei re tra gli investitori americani, dice che un default sul debito degli Stati Uniti è paragonabile a una «bomba nucleare». La finanza e l’economia del pianeta ne sarebbero devastate: il Paese numero uno che non rispetta i pagherò, la valuta a cui l’intero mondo ricorre nei momenti di crisi minata da un crollo di fiducia, gli Usa non più affidabili. Immagini forti che in questi giorni rimbalzano da Washington all’Europa e all’Asia, agitano i mercati e provocano le reazioni di governi, Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale. Si dice che se il Congresso americano non innalzerà il limite del debito pubblico — oggi a 16.700 miliardi — il Tesoro non sarà più in grado di prendere denaro a prestito e quindi non potrà saldare i conti che matureranno dopo il 17 ottobre, giorno in cui più o meno l’America avrà le casse vuote.
Allarme serio. Che però va preso con un minimo di sobrietà, o almeno depurato degli argomenti che alimentano lo scontro politico in atto a Washington. Qualche giorno fa lo ha fatto Mario Draghi, il quale ha chiarito che l’ipotesi di default è preoccupante ma l’ha qualificata precisando che ci sono due scenari. In uno il default dura poco o pochissimo e a quel punto si tratterà di vedere quali debiti il Tesoro decide di non saldare in quel periodo: se il pagamento delle obbligazioni sul debito oppure i fornitori, oppure la sicurezza sociale. Nel secondo scenario il default va avanti per parecchio tempo e allora la situazione diventa più grave. Draghi si è fermato qui, ma si può immaginare che il secondo caso provocherebbe una scossa capace di mettere in crisi prima i mercati finanziari e poi intere economie: le banche e gli investitori, sia nelle Borse che nei titoli di Stato, si stanno preparando. Una cosa però è chiara: il 17 ottobre non è la data certa della fine dell’America come la conosciamo.
Martin Feldstein, uno degli economisti americani più autorevoli, professore a Harvard, una settimana fa ha mandato al suo collega di università Greg Mankiw la seguente email: «Il Wall Street Journal e il Financial Times continuano a scrivere di un rischio di default, citando il Tesoro, Boenher (John, capo dei repubblicani alla Camera dei rappresentanti, ndr ) e altri. In realtà non c’è bisogno di un default sul debito persino se il tetto non viene alzato questo mese. Lo Stato americano raccoglie ogni mese tasse sufficienti a finanziare gli interessi sul debito, eccetera. Il governo potrebbe non essere in grado di separare tutti i conti in gruppi di “pago” e “non pago” ma può certamente identificare i pagamenti sugli interessi. Un’impossibilità a prendere a prestito avrebbe conseguenze economiche serie se durasse per un periodo sostenuto ma non dovrebbe minacciare il nostro credit standing (il rating, ndr)».
Detto diversamente, l’America non resterà senza soldi il 17 ottobre. Il denaro delle tasse continuerà a entrare nelle casse pubbliche: non sarà sufficiente a saldare tutti i conti e quindi, se non potrà farsi prestare denaro, Washington dovrà scegliere cosa pagare e cosa non pagare. Il segretario al Tesoro Jacob Lew dice che in realtà nel sistema computerizzato è praticamente impossibile fare scelte. Ma altri non concordano e Feldstein dice che almeno gli interessi sul debito pubblico sono facilmente identificabili. Scelta delicata, però: deciderà Barack Obama di soddisfare investitori in Treasuries – a cominciare dalla Cina che ne possiede per quasi 1.300 miliardi di dollari – e di non pagare i contributi ai veterani di guerra o di non sostenere la sicurezza sociale?
In più, il flusso di cassa in entrata non è prevedibile, quindi è difficile sapere quale sarà il giorno esatto in cui il Tesoro non avrà abbastanza cash per pagare una bolletta. Il 17 ottobre è indicativo. Shai Akabas, analista del Bipartisan Policy Center, calcola che quel giorno cadrà probabilmente tra il 22 ottobre e il 1° novembre. La certezza è che il momento X si avvicina di ora in ora. Mentre le vecchie, solide credibilità di Washington e del dollaro si affievoliscono.

@danilotaino