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 2013  ottobre 14 Lunedì calendario

LE PENSIONI DI LUSSO DEI DIRIGENTI UN “BUCO” DA QUASI QUATTRO MILIARDI


C’è un buco nero nella voragine dei conti Inps, ingrossato a dismisura nell’ultimo decennio e ormai arrivato a sfiorare i 4 miliardi. Il buco nero è l’ex Inpdai, l’Istituto previdenziale dei dirigenti d’azienda, confluito nell’Inps nel lontano 2003. La voragine è quella dell’Inps stessa che l’anno scorso ha toccato un rosso di quasi 10 miliardi. Ma se questo colossale disavanzo è il frutto avvelenato della confluenza, dal primo gennaio 2012, di Inpdap ed Enpals - il primo gestiva le pensioni del pubblico impiego, il secondo quelle dei lavoratori del settore sport e spettacolo - il buco nero crescente in capo all’Inpdai segue tutto un altro percorso. Meno raccontato, ma assai eclatante.
Intanto, che differenza esiste tra i due clamorosi segni meno? L’Inps chiude il 2011 in attivo di un miliardo e trecento milioni. Ma nel 2012 tracolla per 9 miliardi e 786 milioni. Cos’è successo nel frattempo? Il Salva-Italia di Monti ha deciso l’incorporazione di Inpdap e Enpals nell’Inps. L’Enpals si presenta all’appuntamento virtuosa (3,4 miliardi di attivo), l’Inpdap no. Anzi, porta in dote 10,2 miliardi di passivo. Come mai? Perché fino al 1995 le amministrazioni centrali dello Stato non versavano i contributi alla Ctps, la Cassa dei dipendenti pubblici. E dopo, dal 1996 con la nascita dell’Inpdap, ne versavano solo la quota del lavoratore (8,75%) e non quella a loro carico (24,2%). Fermo restando l’integrazione delle risorse al momento di erogare le pensioni, di anno in anno. Ma questo “ammanco” ora zavorra pesantemente i conti dell’Inps. Nel 2012, primo anno del Super Inps, lo Stato ha dovuto trasferire all’ex Inpdap 6,4 miliardi. Una cifra, secondo alcuni esperti, assolutamente insufficiente e che nel futuro non garantirebbe né patrimonio né pensioni.
Ma se la grana Inpdap alla fine è una questione contabile, seppur molto seria perché necessita di ingenti infusioni di denari pubblici ogni anno, l’altra questione - il buco da 4 miliardi dell’Inpdai non lo è. L’ente di previdenza dei dirigenti privati finisce nell’Inps dieci anni fa, nel 2003. E ci arriva in attivo: 553 milioni. Lo stabilisce la legge 289 del 2002, la finanziaria per il 2003, che di fatto sopprime l’Inpdai, trasferendone strutture e funzioni all’Inps. La legge dice anche che dal primo gennaio 2003, per le nuove anzianità si seguiranno le stesse regole del Fondo pensioni lavoratori dipendenti dell’Inps (fondo sempre attivo, grazie soprattutto ai parasubordinati e alle prestazioni temporanee come ammortizzatori sociali, assegni familiari, malattia). Ma adottando il criterio pro-rata: i contributi acquisiti prima del 31 dicembre 2002 vengono calcolati con i vecchi criteri dell’Inpdai, quelli acquisiti dopo con le regole del Fondo dipendenti Inps. In particolare, per le anzianità fino al 1994, l’aliquota di rendimento è pari al 2,66% per ciascun anno (contro il 2% del Fondo dipendenti), in quanto il massimo di pensione pari all’80% dello stipendio si ottiene con “soli” 30 anni contro i 40 di anzianità del Fondo dipendenti, fino a un massimale retributivo di 180.523 euro. Per le anzianità relative al biennio 1995-1996, l’aliquota scende al 2% su 40 anni di contribuzione con fasce fino al massimale. Mentre infine per quelle tra il 1997 e il 2002 l’aliquota è al 2% e diverse fasce pensionabili, comunque più favorevoli rispetto al Fondo Inps, ma con il massimale.
Si capisce perché dunque il buco della Gestione ex Inpdai sia lievitato in questi dieci anni: da un rosso di 2 miliardi nel 2005 ai quasi 4 miliardi attuali. Sia per le condizioni in cui andavano in pensione i dirigenti nel passato, dopo appena trent’anni e con aliquota di favore. Sia perché questa Gestione è di fatto un fondo chiuso: eroga solo pensioni (nel 2010 a 29 mila dirigenti), ma non riceve contributi. I nuovi dirigenti, assunti dopo il primo gennaio 2003, difatti versano al Fondo dipendenti, con le stesse regole Inps. Il saldo previdenziale, sempre al 2010 (contributi versati e pensioni erogate), era negativo, neanche a dirlo: 2,3 miliardi contro 3,3.
A peggiorare il panorama, la classifica dei super-assegni pensionistici dei manager. A guidarla è Mauro Sentinelli, ex dirigente e ingegnere elettronico di Telecom, l’inventore della “carta prepagata”, che prende la bellezza di 91 mila 337 euro al mese (lordi). Grazie anche a una leggina del 1994, si dice voluta per favorire l’ex direttore generale della Rai Biagio Agnes, che rendeva possibile il passaggio al fondo dei telefonici presso l’Inps (anche questo in costante rosso). Molti manager dell’allora Stet e poi di Telecom lasciarono così proprio l’Inpdai. Meglio confondersi con operai e impiegati che restare nell’ente dei dirigenti su cui gravava un tetto massimo retributivo (200 milioni di lire), mentre il Fondo telefonici ne era privo (ritenuto inutile, visto che i dipendenti non arrivavano a quote così alte). Meglio decuplicare i privilegi, dunque. E intascare super pensioni.