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 2013  ottobre 14 Lunedì calendario

QUEI “PARENTI” DI ÖTZI ARRIVATI FINO A NOI


Otzi, l’uomo di ghiaccio trovato nel settembre del 1991 al confine tra l’Italia e l’Austria, ha almeno 19 discendenti, che vivono sparsi fra il Tirolo, l’Alto Adige e la Svizzera. Li ha individuati l’Istituto di medicina legale dell’Università di Innsbruck, grazie a una particolare mutazione genetica della quale Ötzi era portatore, una variazione molto comune nella preistoria, ma che oggi si riscontra globalmente in pochi individui.
L’identificazione dei discendenti di un uomo vissuto 5300 anni fa sembrava una impresa impossibile, ma nessun essere umano è stato mai studiato così a fondo come quel cacciatore vestito di pelli, alto 159 centimetri, trovato in Val Senales da due coniugi tedeschi, Erika e Helmut Simon, che stavano facendo una passeggiata in alta quota. Grazie al lavoro di decine di scienziati austriaci e italiani, di Ötzi sappiamo ormai praticamente tutto: aveva mangiato carne di stambecco prima di essere ucciso, era intollerante al lattosio, aveva 46 anni, era predisposto all’infarto, aveva contratto la malattia di Lyme o borellosi, comune nelle foreste e nei cervi. Soffriva anche di artrite, era infestato da vermi tricocefali, aveva gli occhi marroni e il suo gruppo sanguigno era di tipo “0”.
Proprio l’analisi del sangue è stata la chiave delle scoperte più sorprendenti, grazie alla collaborazione tra il professor Albert Zink dell’Istituto per le mummie e l’Uomo di ghiaccio di Bolzano e l’Università di Darmstadt. Accanto al segno di una ferita sulla mano di Ötzi sono stati raccolti campioni di tessuto. Analizzati con tecnologie avanzate, in grado di rilevare sostanze dello spessore di pochi atomi, hanno mostrato la presenza di globuli rossi, il più antico sangue umano mai osservato.
Il professor Zink ha ricostruito la sequenza del Genoma dell’Uomo di ghiaccio e del suo Dna mitocondriale, quello che aveva ereditato dalla madre. Ma per trovare eventuali discendenti ancora non bastava. Si pensava anzi che Ötzi appartenesse a un sottogruppo di uomini dell’Età del rame che non aveva lasciato eredi e le sue caratteristiche genetiche sembravano più simili a quelle dei sardi o dei corsi che non a quelle degli abitanti del Tirolo.
E’ stata la rara presenza dell’aplogruppo G nel cromosoma Y dell’Uomo di ghiaccio a fare pensare ai ricercatori dell’Università di Innsbruck che forse era possibile trovare, nella popolazione dello stesso territorio nel quale il corpo era stato rinvenuto, qualche discendente con le stesse caratteristiche genetiche. La ricerca è stata compiuta dal professor Walther Parson su 3700 donatori di sangue di sesso maschile, ai quali è stato chiesto di dichiarare il luogo di nascita e la storia della propria famiglia. Chi veniva da troppo lontano o aveva famiglie con incroci genetici complessi è stato scartato; tra gli altri rimasti, 19 sono risultati portatori della mutazione genetica di Ötzi e quindi potenzialmente suoi parenti. Si ritiene che l’aplogruppo G sia comparso circa 30 mila anni fa, diffondendosi nella zona dell’Himalaya, del Medio Oriente e del Pakistan. Le migrazioni umane lo hanno portato anche in Europa centrale, fino alla famiglia di Ötzi, ma oggi è diventato piuttosto raro.
L’Uomo di ghiaccio è conservato nel museo di Bolzano, dove migliaia di persone fanno la fila ogni anno per vederlo. Poche scoperte archeologiche hanno generato nel mondo così tante emozioni, e anche un po’ di tenerezza per questo corpo ferito, che ci ha detto tutto quello che poteva di sé e della sua vita. Grazie a lui abbiamo imparato che gli uomini preistorici avevano conoscenze superiori a quelle che avevamo attribuito loro, considerandoli semplici selvaggi in attesa del miracolo dell’evoluzione. Ötzi non solo calzava scarpe perfettamente adatte alla neve e al ghiaccio e disponeva di attrezzi sofisticati per la sua era. Aveva anche il corpo pieno di tatuaggi, 36 segni fatti di punti e linee, incisi nella pelle e marcati con la cenere, che secondo alcuni studiosi coincidono o sono molto vicini ai punti dell’agopuntura cinese o ai punti di pressione della medicina orientale. Un indelebile manuale di automedicazione per i lunghi e pericolosi viaggi nelle Alpi, e forse il modo più utile e intelligente di tatuarsi qualcosa addosso.