Marco Belpoliti, La Stampa 14/10/2013, 14 ottobre 2013
DALL’USA E GETTA AL RIUSO
La civiltà dell’«usa e getta» sembra finita, almeno per ora. L’espressione è comparsa nel 1978: «rasoi usa e getta»; nel 1983 era la volta dei «pannolini usa e getta» (Cortellazzo e Cardinale, Dizionario delle parole nuove 1964-84). C’era anche «vuoto a perdere» o «vetro a perdere», durato più a lungo: non era necessario restituire il contenitore. Alla fine degli Anni Ottanta inizia l’era del riciclo.
Oggi c’è qualcosa di nuovo: il riuso. Sto alludendo al ritorno del rattoppo. Un tempo, prima della società industriale, il rattoppo apparteneva alle tecniche della fabbricazione; il vecchio e l’usato non esistevano né nel vestiario né nell’oggettistica. L’idea del bricoleur di Claude Lévi-Strauss nasce a contatto con le narrazioni di déi e semidéi che praticano il riuso nelle società cosiddette primitive; nei loro miti anche l’uomo nasce così, da un rattoppo. Ora i giornali ci dicono che si torna a rammendare e a cucire in casa. Sino all’inizio del Novecento s’insegnava alle ragazze, anche a quelle di buona famiglia, poiché vigeva allora l’idea del decoro (gli imparaticci). Geppetto dice a Pinocchio: non importa che i vestiti siano rattoppati, piuttosto devono essere sempre puliti. Gli abiti composti di ritagli di tessuti diversi erano usuali; nella nostra epoca se ne appropria la moda, che è la prima agenzia del riuso contemporaneo. I lenzuoli di casa erano spesso rattoppati; si ottenevano cucendo insieme più pezze o teli. Quando una parte si consumava, veniva sostituita; nel logoramento progressivo, diventava telo coprivivande o, tagliato a strisce, piccolo asciugamano e pezzuola: ci si asciugava dal sudore con i resti del lenzuolo matrimoniale. Oggi ci sono le toppe messe sotto, e non più sopra, da applicare con il calore del ferro da stiro. Non so quanti di coloro che cuciono e rattoppano in casa posseggano l’uovo da rammendo o il ditale; nel cesto delle nonne non mancavano mai. La parola «rattoppo» è seicentesca, per quanto l’azione sia ben precedente; «toppa» non si sa bene da dove provenga: pezzo di stoffa, ritaglio, scampolo. C’è anche la toppa della serratura, il buco in cui maliziosamente si guarda (toppa è anche l’organo sessuale femminile in alcuni dialetti).
Gadda usa la parola carpogn, groppo o nodo in un rammendo mal eseguito. Qualcuno sostiene che «toppa» proviene da «stoppa», cascame di canapa e lino. E il rammendo? Da «ammendare», correggere. Diciamo così, oggi ci piace più correggere, abbiamo un’ammenda da pagare, poiché abbiamo sciupato troppo.