Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  ottobre 14 Lunedì calendario

«COSÌ HO FATTO AMARE IL RISO NERO

AGLI ITALIANI» –

Dalle tavole degli imperatori cinesi alla cucina italiana. Quella del riso Venere è una storia di viaggi, incroci, adattamento climatico e superamento delle resistenze verso un colore e un aroma nuovo da questa parte del mondo, sebbene antichissimo altrove. Storia con un papà cinese, il ricercatore Wang Xueren che per vent’anni ha studiato l’adattamento delle varietà di riso al clima italiano, e un padrino italiano, il risicoltore Massimo Biloni che ha diffuso il riso Venere promuovendo la sua filiera in un paese che, fino a pochi anni fa, non conosceva riso che non fosse bianco.
Alimento un tempo elitario, che sta diventando cool . In Cina, fino all’800, soltanto l’imperatore e la sua corte potevano mangiare riso nero, varietà integrale molto ricca di proteine e sali minerali (ferro, manganese e selenio). La sua produttività era limitata, e dunque riservata alle tavole privilegiate. Fin qui la tradizione, che non apparteneva all’Italia (troppo fredda). Due, infatti, le esigenze del riso: calore e acqua. «Ma se per le condizioni climatiche il Mezzogiorno sarebbe stato più adatto, l’abbondanza di laghi e fiumi ha fatto sì che, fin dal 400, le risaie italiane si concentrassero in pianura padana, sul limite estremo di latitudine per una pianta che muore sotto i 15/18 gradi», spiega Massimo Biloni, direttore della cooperativa agricola Sardo Piemontese Sementi, che dal 1978 produce e commercializza sementi di riso e dall’89 sviluppa varietà per il miglioramento della produzione.
Ecco l’innovazione: Wang Xueren ha incrociato naturalmente, senza Ogm, una varietà asiatica di riso nero messa a disposizione dall’Istituto Internazionale di Ricerca sul Riso (il principale ente mondiale per la conservazione del riso, con sede nelle Filippine), climaticamente ancora più esigente di quella tradizionale, con una varietà padana, più resistente al freddo, accorciando il ciclo produttivo, tra aprile e ottobre. Nacque così, nel 1997, il riso Venere, prodotto esclusivamente a Novara, Vercelli e Oristano: un successo italiano (diverso dal riso nero conosciuto in Asia). Primo brevetto iscritto nel catalogo europeo del riso, è rimasto però per alcuni anni sconosciuto ai più.
«La cooperativa SaPiSe, che lo ha sviluppato, ha soltanto perso soldi — riferisce Beloni — fin quando, nel 2000, ha assunto la gestione della distribuzione promuovendone il consumo. Come? Andando in fiere, congressi e nei ristoranti a spiegarne le peculiarità organolettiche e nutritive». Chicco color ebano, piccolo e profumato, il Venere è un riso integrale aromatico, che ricorda il pane appena sfornato. Rispetto al riso tradizionale, ha un contenuto di ferro quattro volte superiore e il doppio del selenio, che svolge un’attività antiossidante, utile a migliorare le nostre difese immunitarie e a ritardare l’invecchiamento. Inoltre, ha un alto contenuto di antociani, vegetali presenti nel vino e nei frutti di bosco, capaci di catturare i radicali liberi e evitare l’ossidazione.
L’autenticità del prodotto è tutelata dalla filiera, creata su impulso del direttore di SapiSe Massimo Biloni, risicoltore 42enne che ha proseguito assieme ai fratelli l’attività paterna con un’azienda a Novara. «Il marchio obbligatorio e la completa tracciabilità della produzione — attualmente 2000 tonnellate all’anno — sono garanzia assoluta di qualità e sicurezza», commenta Biloni, di rientro dalla Russia, dove sta promuovendo le varietà italiane di riso, per partecipare alla tavola rotonda su «Sicurezza e tracciabilità in agricoltura: esperienze di giovani imprenditori, tra tradizione e innovazione», domani a Milano.