Stefania Tamburello, Corriere della Sera 14/10/2013, 14 ottobre 2013
ECCO QUANTO VALE LA BANCA D’ITALIA: PER I SOCI UN TESORO DI 5-7 MILIARDI
DALLA NOSTRA INVIATA WASHINGTON — Il lavoro dei saggi chiamati dal governatore Ignazio Visco è pressoché finito. Così la Banca d’Italia si appresta a consegnare — lo farà nei prossimi giorni — al ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, i risultati dell’approfondimento sul riassetto patrimoniale dell’Istituto, rispondendo in primo luogo all’interrogativo sul valore del suo capitale.
Quanto vale la Banca d’Italia? Stabilirlo è importante per dare un profilo definitivo alla banca centrale, ma negli ultimi tempi sembra esserlo diventato ancora di più. Per due motivi: perché le banche per così dire azioniste, quelle che partecipano al capitale, aspettano di rivalutare la loro quota (qualcuna lo ha già fatto di sua iniziativa) per rafforzare con essa anche il patrimonio in vista dell’entrata in vigore dei più severi requisiti di Basilea3. E poi perché tali rivalutazioni potrebbero fare incassare all’Erario, sotto forma d’imposte straordinarie, risorse preziose per varare le misure necessarie in attesa nella lista del governo Letta. Non stupisce che in questa prospettiva siano stati formulate ipotesi e conteggi generosi, fino a 20-25 miliardi. Valori che farebbero affluire nelle casse dello Stato, come ha per esempio ipotizzato il presidente dei deputati del Pdl, Renato Brunetta, circa 5 miliardi.
Le cose però stanno diversamente. L’autovalutazione della Banca d’Italia, al netto di tutte le attività legate alla sua appartenenza al sistema delle banche centrali, sarebbe infatti lontana da tali cifre, non superando i 7 miliardi ma fermandosi su un range tra 5 e 7 miliardi. Utilizzando la stessa percentuale di prelievo fiscale l’eventuale gettito si fermerebbe in questo caso ben al di sotto del miliardo di euro, al massimo sui 700 milioni di euro.
Senza contare che è ancora tutto da verificare il comportamento delle banche interessate. Gli istituti che hanno meno urgenza di rimpinguare il patrimonio potrebbero non avere fretta nel conteggiare le rivalutazioni che porterebbero con se l’indesiderato obbligo di pagare più tasse. Potrebbero benissimo rinviare.
Il tema, è un tema caldo, e anche a Washington dove a latere dell’assemblea del Fondo monetario si sono svolti seminari, dibattiti e incontri tra banchieri e investitori, se ne è parlato. Anche se non sembra che i tempi di una decisione possano essere brevi, pur in presenza di una cifra più precisa sul valore della nostra banca centrale, che risale al 1936, finora ancorata alla simbolica somma di 156 mila euro, suddivisi in 300 mila quote di partecipazione nominative di 0,52 euro ciascuna. Il principale azionista, se così si può chiamare è Intesa Sanpaolo con 91.035 quote, seguito da Unicredit con 66.342 quote. L’ultimo è Veneto Banca con 480 quote.
C’è infatti, innanzitutto, bisogno di una legge per regolare l’intera materia, non fosse altro che per abrogare le norme mai attuate perché definite quasi unanimemente impraticabili, della legge sul risparmio del dicembre 2005. In questo ambito vanno poi definite le caratteristiche — di trasferibilità, di possesso e di poteri — dei partecipanti al capitale che non possono in alcun modo intervenire nella gestione delle materie istituzionali, dalla politica monetaria alla Vigilanza. Caratteristiche che devono in primo luogo garantire la stabilità e l’indipendenza della Banca. Per venire al tema più d’attualità relativo all’aumento di gettito fiscale per lo Stato, non è poi ancora chiaro, ed è da definire, il regime fiscale delle rivalutazioni delle quote in possesso delle banche. Insomma anche ipotizzando tempi di decisione rapidissimi le nuove eventuali risorse provenienti dalla rivalutazione del capitale di Bankitalia, non potrebbero arrivare nel 2013, magari per finanziare la cancellazione della seconda rata dell’Imu.