Luigi Reitani, Il Sole 24 Ore 13/10/2013, 13 ottobre 2013
LA SALVEZZA NEL NAUFRAGIO
Il 17 ottobre 1973 moriva in una clinica romana a soli quarantasette anni Ingeborg Bachmann, scrittrice austriaca dalla vita irrequieta e tormentata, affermatasi giovanissima con versi di spiccata potenza metaforica e poi autrice di un ambizioso ciclo narrativo, Cause di morte, rimasto incompiuto e frammentario. A quarant’anni da questa fine tragica e prematura – che ha suscitato fin troppe speculazioni romanzesche e che in realtà fu dovuta a un’acuta dipendenza da psicofarmaci – l’opera della Bachmann è ormai studiata con quella particolare devozione che si riserva agli autori di culto. Ma è soprattutto la sua figura, al centro di una fittissima rete di rapporti artistici e letterari, ad attirare ancora curiosità e interesse. Negli ultimi anni sono stati così pubblicati i suoi carteggi (rispettivamente tradotti in Italia da EDT e Nottetempo) con il compositore Hans Werner Henze e con il poeta Paul Celan, con cui la scrittrice visse un’intensa storia d’amore: una vicenda che trascende il puro dato biografico e si presenta come emblematica di un rapporto tra i figli dei carnefici e delle vittime dopo la Shoah (il padre della Bachmann, direttore scolastico, era stato un sostenitore di Hitler della prima ora, mentre i genitori ebrei di Celan, deportati dalla Bucovina, erano morti nei campi nazisti della Transnistria).
In questo quadro si spiega anche il valore, forse eccessivo, attribuito alle pagine adolescenziali di un diario in cui la Bachmann racconta del suo innamoramento per un ufficiale dell’esercito britannico, che si rivelerà essere un esule ebreo viennese, nel periodo dell’occupazione alleata in Carinzia, al termine della Seconda guerra mondiale (il volume è edito in Italia da Adelphi con il titolo di Diario di guerra).
Il lascito della scrittrice, conservato nella Biblioteca Nazionale di Vienna – e da poco accessibile in copia anche in un archivio costituito presso l’Università di Salisburgo – contiene però ancora molto materiale inedito, che rivela tra l’altro quanto la Bachmann, che intratteneva molteplici relazioni con il mondo intellettuale di lingua tedesca, svolgesse un ruolo importante nella mediazione in Germania della cultura italiana, non certo limitato alla sola traduzione delle poesie di Ungaretti, apparsa nel 1961. Durante i suoi due lunghi soggiorni romani, tra il 1954 e il 1963 (con molte interruzioni), e poi dal 1965 alla morte, la scrittrice aveva infatti avuto modo di stabilire contatti significativi e duraturi con autori ed editori italiani. Si spiega così come la Bachmann fosse al centro di un progetto, mai andato in porto, di una comune rivista europea, alla quale avrebbero dovuto partecipare le case editrici Einaudi, Gallimard e Suhrkamp, riunendo le loro migliori energie intellettuali, da Enzensberger a Vittorini, da Blanchot a Calvino, da Barthes a Uwe Johnson. A rileggerlo oggi, l’editoriale scritto dalla Bachmann per il primo numero progettato della rivista contiene spunti che appaiono estremamente attuali, come ad esempio sui limiti e le condizioni di un comune pensiero europeo.
Di queste "corrispondenze" si è recentemente parlato a Roma in un convegno organizzato appunto in occasione dell’anniversario della morte della scrittrice dall’Istituto Italiano di Studi Germanici e dalla casa di Goethe, alla cui riuscita hanno avuto una parte preponderante studiosi italiani come Barbara Agnese o Arturo Larcati, che hanno svolto o ancora svolgono il loro prezioso lavoro presso Università e centri di ricerca in Austria, a riprova di quanto la migrazione intellettuale sia ormai diffusa anche in campo umanistico. Si è avuta così la percezione concreta di come i carteggi conservati negli archivi possano servire per studiare quel momento decisivo per la ricostruzione della cultura europea che è stato il ventennio seguito alla Seconda guerra mondiale.
Il maggiore contributo al quarantennale è però una recentissima biografia di Andrea Stoll, che per prima ha potuto consultare il carteggio privato conservato dalla famiglia (Ingeborg Bachmann, Der dunkle Glanz der Freiheit. Die Biografie, München, Bertelsmann, € 22,99): un libro che ha già provocato le reazioni risentite di chi, tra gli amici della scrittrice, ne ha ritenuto stravolta l’immagine e che certo non è immune da pecche e ingenuità, come ha messo in rilievo Fritz J. Raddatz su «Die Welt». Emerge, nella ricostruzione della Stoll, il ritratto di una donna al tempo stesso fragile e sicura di sé, fortemente determinata nel promuoversi e affermarsi in un mondo delle lettere tutt’altro che disposto a riconoscere la parità dei sessi, ma anche minata da angosce profonde, non per ultimo causate da una precarietà economica abilmente dissimulata.
Al di là del fascino indubbio della vicenda personale, e del suo intrecciarsi con la storia culturale europea, ci si può a ogni modo chiedere quale sia oggi il valore degli scritti di Ingeborg Bachmann. Reggono ancora all’urto dei tempi i racconti del Trentesimo anno, di Tre sentieri per il lago e i romanzi del ciclo Cause di Morte? E come inquadrare i radiodrammi e la poesia degli anni Cinquanta e dei primi anni Sessanta? La questione non è peregrina neppure in Italia, Paese di adozione della scrittrice (che lo definì il suo «Paese primogenito»), dove l’indubbio interesse verso l’opera non sempre si è trasformato in concrete proposte editoriali. Mancano ad esempio in traduzione molti saggi della Bachmann (che in tale campo eccelleva) e andrebbe attentamente rivista la vecchia versione del romanzo Malina. Soprattutto, però, non c’è ancora una raccolta con tutti i versi da lei pubblicati in vita, indipendentemente dalle controverse poesie del lascito.
È singolare peraltro che una delle composizioni più note e interpretate della Bachmann, La Boemia sul mare (pubblicata nel 1968 sulla rivista «Kursbuch» di Enzensberger), non sia mai apparsa in volume in italiano. Partendo dalla celebre citazione shakespeariana del Racconto d’inverno, la scrittrice evoca qui un paesaggio utopico in cui il confine si fa soglia, apertura all’altro, comprensione del mondo. Uno stato in cui il soggetto si annulla «andando a fondo», in un naufragio che è l’unica salvezza possibile. Una poesia al tempo stesso monologica e dialogica, rivolta a un sé smarrito e a un’umanità infima e dolente, invitata a un riscatto nella sublime finzione dell’illusione teatrale, consapevole che il mondo è sempre inseparabilmente commedia e tragedia. In questi versi, che hanno in tedesco il metro nobile dell’alessandrino, Ingeborg Bachmann continua ancora a vivere, al di là della sua morte romanzata e della sua avventurosa esistenza.