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 2013  ottobre 13 Domenica calendario

LA VERA SFIDA DI RENZI È A GOVERNO E QUIRINALE


Chi si aspettava un Renzi battutaro e co­ol sarà forse rimasto deluso, come delu­dente è stato senz’altro l’impianto sce­nico, ridotto a un palchetto rotondo illumina­to male (e qui si sente la mancanza di Giorgio Gori, che secondo le leggende di Cologno im­parò dal Cavaliere in persona a mettere le luci negli studi televisivi così da farli sembrare più grandi e più belli). Ma la sostanza politica, tanto più all’indo­mani di una crisi sventata e del­l’ennesimo patto di non bellige­ra­nza con il presidente del Consi­glio, è dinamite pura. Almeno per il regimetto che intorno a Let­ta e a Napolitano si è venuto cri­stallizzando in questi mesi, e che minaccia di trasformarsi in un as­setto di governo stabile, dove «chi vota non conta, perché poi cisi mette sempre d’accordo».
Berlusconi è alle prese con i suoi problemi giudiziari men­tre il Pdl è dilaniato da una dura guerra interna, Grillo ha conge­lato otto milioni di elettori sen­za dare loro nessuna prospetti­va, il Pd di Bersani ha perso voti e iscritti e i suoi consensi, or­mai, vengono soltanto da stata­li e pensionati: Matteo Renzi inaugura la sua corsa alla segre­taria disegnando un panorama politico e umano di macerie e di fallimenti. Non sono più que­sti gli avversari da battere, non sono più Berlusconi e Bersani gli argini che - secondo Renzi, s’intende-impediscono il cam­bi­amento e imprigionano l’Ita­lia nella stagnazione. No, oggi l’ostacolo da superare,l’ultimo argine da abbattere ruota intor­no all’asse Letta-Napolitano: è questo il tappo, è qui lo scontro vero se si vuole «cambiare ver­so » al Paese.
Quando Renzi urla che «sare­mo le sentinelle del bipolari­smo » non ce l’ha con l’inciucio denunciato a suo tempo dalle anime belle della sinistra anti­berlusconiana, ma con l’opera­zione neocentrista che - vera o presunta - sta dietro l’Alfetta a guida quirinalizia. Il sindaco di Firenze non colpisce le larghe intese, che peraltro ha sempre considerato una necessità tran­sitoria, ma l’idea che intorno al­le larghe intese possa formarsi quella «nuova Dc» intenziona­ta a emarginare la sinistra ex Pci e la destra berlusconiana e le­ghista per consolidarsi come blocco di governo (e di potere) senza alternative.
È per questo che i punti politi­ci­salienti del discorso di Bari so­no altrettante cannonate indi­rizzate al governo e al Quirina­le. A cominciare dalle due que­stioni più scottanti all’ordine del giorno: la riforma elettorale e l’amnistia. Sul primo punto, Renzi non scopre le carte ma sta­bilisce un principio: chi vota de­ve poter scegliere direttamente e immediatamente chi gover­na, e chi governa deve poterlo fa­re da solo perché, poi, dovrà ri­sponderne. Ma la vera novità sta forse nel metodo, più che nel merito: diventato segretario del Pd, Renzi chiederà di spostare alla Camera il dibattito sulla nuova legge elettorale: qui, do­ve il Pd da solo ha la maggioran­za, si dovrà cercare un accordo con Sel e Scelta civica da offrire poi, se lo vorranno, a Pdl e M5S. In altre parole, il perimetro del­la riforma elettorale non coinci­de con quello della maggioran­za (come fortissimamente vo­gliono Letta e Napolitano), ma semmai prefigura l’alleanza con cui il sindaco di Firenze con­ta di presentarsi alle elezioni.
Sull’amnistia il colpo non è meno forte: «Un clamoroso au­togol », dice Renzi, non perché, come pensano ossessivamente i mozzaorecchi, potrebbe aiuta­re Berlusconi ( peraltro mai cita­to in più di un’ora di discorso), ma perché è in sé diseducativo, e dunque sbagliato, «svuotare le carceri ogni sette anni» senza far nulla fra un’amnistia e l’al­tra per limitare la detenzione preventiva, depenalizzare alcu­ni reati, migliorare la condizio­ne carceraria. C’è naturalmen­te, in questa posizione, una strizzatina d’occhio all’eletto­rato di destra, per certi aspetti simmetrica all’uscita di Grillo a favore della Bossi-Fini: ma c’è anche, e soprattutto, l’accusa a Napolitano di cedimento a quella «cultura del condono» che è tra le cause principali del­la stagnazione italiana.
Il Pd «curioso» e «coraggio­so » che Renzi ha appena comin­ciato a delineare ieri a Bari è per ora una nebulosa indefinita, e il passaggio da rottamatore a sta­tista resta ancora incerto e ric­co di chiaroscuri. Ma il terremo­to sta arrivando e, almeno per ora, il futuro segretario non sembra incline ai compromes­si: fanno bene ad avere paura di me, dice. E poi: «Non si sale sul carro, il carro lo si spinge». E il carro, prima o poi, investirà il governo.