Guido Ruotolo, La Stampa 13/10/2013, 13 ottobre 2013
SBARCANO IN ITALIA, MA I PROFUGHI PUNTANO A FRANCIA E GERMANIA
Quando finiscono nelle braccia delle burocrazie europee diventano dei bussolotti, sballottati da una stazione ferroviaria a un aeroporto, o viceversa, con tanto di decreti di espulsione, di accompagnamento alla frontiera.
Quelli sopravvissuti ai naufragi, ai tir «asfissianti», ai plotoni di banditi e di poliziotti e militari corrotti che li hanno dissanguati nei loro Paesi. Stiamo naturalmente parlando dei migranti; una volta identificati hanno solo due alternative: tornare a casa o nel primo Paese di transito della Comunità europea.
Come l’Italia, che «sopporta» in queste tragiche settimane un flusso ininterrotto di migranti provenienti dalla Libia diventata una nuova Somalia del Mediterraneo.
La rotta iberica, Lampedusa, i Balcani. Sono i passaggi attraverso cui defluisce il fiume carsico dei migranti. Si crea un ostacolo? Il fiume trova un nuovo letto dove continuare a scorrere. Un fiume inarrestabile. Ma noi guardiamo il «nemico» solo puntando l’orizzonte del grande mare Mediterraneo, senza chiederci poi dove sono diretti. Senza girarci di 180 gradi per vedere da quali frontiere terrestri cercano di raggiungere il loro approdo: da Ventimiglia a Trieste.
Gran parte di loro non intende restare nel nostro Paese, volendo raggiungere famiglia, parenti, amici, concittadini da tempo radicati in Germania o in Svezia.
I numeri ufficiali di questo fenomeno non esistono. Ma per approssimazione possiamo farcene un’idea interpretando le domande dei richiedenti asilo. Un solo dato sovrasta su tutti gli altri: il 70% dei richiedenti asilo del 2012 ha indicato 5 dei 27 Paesi della Comunità Europea (che con la Croazia, che è entrata quest’anno, porta il numero dei Paesi Ue a 28). E sono: Germania (25%), Francia (18%), Svezia (13%), Regno Unito e Belgio (8%). In tutto sono state presentate 331.975 domande di richiedenti asilo.
L’Italia si colloca al settimo posto della classifica con 15.710 domande rispetto alle 34.120 del 2011.
Nel 1990 e negli anni immediatamente a seguire, la diaspora albanese si concentrò soprattutto sulla ospitale Puglia e in parte in Svizzera e Germania. Senza considerare gli stagionali che si trasferivano nella confinante Grecia. Alla fine di quel decennio la diaspora turco-curda sfruttò i porti adriatici per salire in quella opulenta Europa del Nord, dalla Germania ai Paesi Scandinavi.
La Primavera araba (2011) si è tradotta per noi in 60.000 e passa «ospiti». Poi gli sbarchi erano ridiventati un fenomeno fisiologico, con appena 13.000 arrivi l’anno scorso. Adesso è solo un azzardo ipotizzare quando si fermerà l’asticella (siamo già a circa 34.000 migranti arrivati dal primo gennaio).
I dieci fermati ad Aosta diretti probabilmente in Svezia non sono un gruppo isolato, semmai l’avanguardia di un esercito di migranti pronti a continuare la loro Odissea.
Dunque quello che preoccupa maggiormente, si potrebbe dire terrorizza se non fosse che il termine è abusato, è un combinato disposto tra concentrazione in Libia di decine di migliaia di migranti, di profughi pronti a salpare per Lampedusa e un territorio dove lo Stato, il regime, non c’è più e la violenza è monopolio di 30.000 uomini divisi in 500 milizie che ricavano reddito anche dalla speculazione dei traffici di clandestini, essendo l’industria del petrolio e del gas sull’orlo del collasso.
Proprio in queste settimane, due terzi degli sbarchi (20.000 dei 34.000) arrivano dalla Libia. E sempre due terzi dei migranti dichiarano di essere siriani (9322), eritrei (8297), somali (2963).
Se potessero, la maggior parte proseguirebbe subito il loro viaggio per la Svezia, il Belgio, la Germania, la Francia, l’Inghilterra. Molto spesso, i sopravvissuti ai naufragi e alle traversate hanno evitato di presentare domande di asilo in Italia perché se accettate avrebbero comportato di dover rimanere sul nostro territorio. E da «clandestini» hanno proseguito la loro Odissea.