Armando Torno, Corriere della Sera 13/10/2013, 13 ottobre 2013
IL RITORNO DELL’ELEMOSINIERE IN VATICANO E QUELLA GENEROSITÀ CHE CANCELLA I PECCATI
Papa Francesco , tramite l’elemosiniere del Vaticano l’arcivescovo Konrad Krajewski, ha inviato un assegno di 200 euro a un’anziana signora di Marghera. Era stata derubata del portafogli, dove aveva 54 euro che le erano stati prestati. E mentre si diffonde questa notizia, ne giunge un’altra: il pontefice, che segue con attenzione la sorte dei superstiti al naufragio del 3 ottobre nelle acque di Lampedusa, ha acquistato delle schede telefoniche internazionali per distribuirle e consentire loro di mettersi in contatto con i familiari.
I due gesti di papa Francesco richiamano alla mente la pratica dell’elemosina, già raccomandata nell’Antico Testamento e ribadita nel Nuovo. Il termine è utilizzato nella lingua italiana a partire dalla prima metà del XIV secolo (con varianti popolari quali lemosina o limosina ) e deriva dal greco eleemosyne (da eleemon, misericordioso; éleos era la pietà). Tra i numerosi passi della Scrittura che si possono citare, vale la pena rileggere quanto si legge in Tobia, dove l’esercizio di tale pratica ottiene molte grazie, non esclusa la cancellazione dei peccati: « Dei tuoi beni fa elemosina. Non distogliere mai lo sguardo dal povero, così non si leverà da te lo sguardo di Dio. La tua elemosina sia proporzionata ai beni che possiedi: se hai molto, da’ molto; se poco, non esitare a dare secondo quel poco. Così ti preparerai un bel tesoro per il giorno del bisogno, poiché l’elemosina libera dalla morte e salva dall’andare tra le tenebre. Per tutti quelli che la compiono, l’elemosina è un dono prezioso davanti all’Altissimo» (4, 7-11). Inoltre vi sono le indicazioni esplicite dei Vangeli: basterebbe ricordare la parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro (Luca 16, 19-31). Né mancano passi eloquenti di Paolo, come quello conservato nella Prima Lettera a Timoteo: «Ai ricchi in questo mondo raccomanda di non essere orgogliosi, di non riporre la speranza sull’incertezza delle ricchezze, ma in Dio, che tutto ci dà con abbondanza perché ne possiamo godere; di fare del bene, di arricchirsi di opere buone, di essere pronti a dare, di essere generosi, mettendosi così da parte un buon capitale per il futuro, per acquistarsi la vita vera» (6, 17-19).
La tradizione della Chiesa è sempre stata vigile su tale questione e tra i Padri vi sono opere espressamente dedicate ad essa, come per esempio il De pauperum amore di Gregorio Nazianzeno; i teologi mai la dimenticarono e tra i molti scritti accumulatisi nei secoli ecco quello di Francisco Suarez, il gesuita che fu la mente della Seconda Scolastica: lasciò un De charitate. Ma si possono citare encicliche (come dimenticare la Rerum novarum di Leone XIII?) e infiniti esempi tratti dall’agiografia dei santi, suggellati dall’arte. Ecco Martino vescovo di Tours che taglia in due parti il suo mantello militare per soccorrere un mendicante: mirabile l’affresco di Simone Martini che coglie l’eternità di quell’atto, indipendentemente dalla leggenda che lo alimenta; ieratico e quasi scolpito, invece, il quadro El Greco alla National Gallery di Washington. Annibale Carracci con l’Elemosina di San Rocco (Gemäldegalerie, Dresda) offre un teatro e un’odissea di situazioni intorno al gesto che si tinge di trascendente. E Pasqualino Rossi nell’Elemosina di Santa Lucia (Serra San Quirico, nella chiesa dedicata alla santa) accende di luce infinita l’atto. Non sono che esempi.
Di elemosina dovette occuparsi il diritto canonico per stabilire quali fossero i religiosi che potevano vivere grazie ad essa e gli Ordini mendicanti (come i Minori e i Cappuccini) seguono una tradizione secolare. La letteratura non si dimenticò e Alessandro Manzoni ne I Promessi Sposi utilizza uno slancio di Renzo per mostrare l’utilità dell’elemosina, anzi la unisce al disegno della Provvidenza: nel capitolo XVII, passata l’Adda, dopo essersi ristorato lo stomaco in un’osteria offre i soldi che gli restano ai tre mendicanti con un bambino. Certo, ci sono anche i contrari: Dostoevskij ne I demoni fa dire a Varvara Petrovna che «l’elemosina è un piacere presuntuoso e immorale, è il piacere del ricco per la sua ricchezza, per il suo potere e per il confronto della sua importanza con l’impotenza del miserabile». Parole che il Novecento non riuscirà facilmente a dimenticare, soprattutto quando crederà di risolvere i problemi della povertà attraverso le politiche sociali volte a combatterla (la nobile impresa fu sovente realizzata senza preoccuparsi del bilancio dello Stato).
La Chiesa si attrezzò alla bisogna e, storici accreditati, farebbero risalire l’istituzione dell’Elemosineria Apostolica a Gregorio X (XIII secolo); di certo essa è presente in una bolla di Alessandro V del 1409. Quel che un tempo era chiamato l’«Elemosiniere segreto di Sua Santità», con titolo arcivescovile, qualcuno già lo vede nelle disposizioni di Gregorio X, di certo si trova nelRuolo della famiglia pontificia di Niccolò III. Correva il 1277.