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 2013  ottobre 14 Lunedì calendario

TUCCI, L’INDIANA JONES ALL’ITALIANA


Furono Giulio Andreotti e, prima di lui, Benito Mussolini i grandi protettori di Giuseppe Tucci, patriarca degli studi orientalistica in Italia e celebre esploratore che ha legato il suo nome ad avventurosi viaggi nelle valli dell’Himalaya e nelle pianure del Gange, ma, soprattutto, in Tibet alla ricerca della «città proibita» e tra le foreste e le paludi del Nepal. Quando, allora giovanissimo sottosegretario alla Presidenza del Consiglio (aveva, all’epoca, 28 anni), Andreotti conobbe Tucci, venuto a sottoporgli il progetto di una spedizione scientifica in Tibet, ne rimase affascinato. Era il 1947 e Tucci, il quale da poco aveva potuto riprendere l’insegnamento universitario e che con i suoi 53 anni era nel pieno della sua maturità intellettuale, godeva di un enorme prestigio internazionale. L’incontro fu provvidenziale perché Andreotti, affascinato dalla personalità dello scienziato, mise da parte ogni perplessità di natura politica, legata al fatto che Tucci era stato un importante collaboratore del fascismo oltre che grande amico di Giovanni Gentile. Si adoperò, così, per finanziare quella impresa che avrebbe portato lo scienziato ed esploratore, primo italiano, nel cuore di Lhasa, la «città proibita» e fra i maggiori templi del paese consentendogli di portare da quei territori testi, manufatti e manoscritti fornendogli, che avrebbero costituito materiale per alcuni dei suoi libri più affascinanti. A quella spedizione ne seguirono altre alla scoperta del Nepal, un paese, come egli stesso scrisse, dei «più vari e complessi dell’Asia», un «ricco di colore ma anche di dolore» che «sotto la vivacità dei vestiti e l’allegria chiassosa dei bazar» celava «come un’angoscia il presagio di un malfido corruccio della natura».

Nelle sue esplorazioni Tucci fu sostenuto sia da una eccezionale forza di volontà che gli consentì di superare pericoli e affrontare fatiche sovrumane, sia dalla sua eccezionale conoscenza di una miriade di lingue e dialetti che gli permise di stabilire un contatto diretto con le popolazione e di superare ogni diffidenza. La sua carriera di studioso e di esploratore era cominciata presto e si era sviluppata attraverso viaggi che lo avevano portato, fra l’altro, in India, nel Kashmir, in Pakistan e gli avevano fatto conoscere personalità della politica e della cultura di quei paesi, da Gandhi a Tagore, i due uomini più rappresentativi dell’India. Il Mahatma, a vederlo, raccontò poi Tucci, sembrava «insignificante, vestito di una pezza di cotone tessuta da lui medesimo, le gambe e il torso nudi, occhialuto e calvo, sgraziato nelle mosse, di scarsa se non addirittura nulla sensibilità artistica». Tagore, invece, «aristocratico» e «ieratico» gli apparve «sospettoso del prossimo avvento della tecnica» e «spirito sommamente svelto e sottile». Eppure, queste due persone, così diverse fra loro e che gli sembrava «non si comprendessero» lo colpirono profondamente. Di Gandhi egli apprezzò la determinazione che lo consacrò come un grande «riformatore morale, sociale e religioso», mentre Tagore, con il quale ebbe un rapporto intenso, lo affascinò anche perché questo poeta che sembrava un grande saggio orientale amava profondamente l’Italia. Per la verità, Tagore fu anche (e non ne fece mistero) un ammiratore di Mussolini e del fascismo anche se, poi, ridimensionò la portata di talune sue dichiarazioni in proposito.

Al fascismo e, più propriamente a Mussolini e ai propositi espansionistici in campo culturale e commerciale verso l’Oriente, Tucci, con la sua opera di studioso ma anche con una collaborazione organica, fu certamente funzionale: le sue esplorazioni e le sue iniziative costituivano un eccezionale veicolo propagandistico e il capo del fascismo gliene fu grato.

Il volume di Enrica Garzilli, con una scrittura affascinante e coinvolgente, offre di Tucci (ma anche del mondo che ruotò attorno a lui) un ritratto a tutto tondo, pieno di chiaroscuri, capace di penetrare i lati più segreti di una personalità eccezionale, uno di quei rari studiosi - come avrebbe detto di lui il suo grande amico Mircea Eliade - la «cui biografia non può ridursi alla loro bibliografia» perché «il suo sapere fu vasto e profondo».