Fabio Licari, La Gazzetta dello Sport 14/10/2013, 14 ottobre 2013
QUEI 37 GIUDIZI IN 90 MIMUTI TRA REGOLE E MESTIERE. IN GAZZETTA SI FA COSI’
Professione pagellista. Il mestiere più bello (e invidiato) del mondo. Pensate un po’: essere pagati per vedere la partita, studiare i giocatori uno per uno, e poi sentenziare giudizi e voti, come a scuola, solo che in cattedra siedi tu. Cosa chiedere di più?
Eppure la lista dei desideri, per un pagellista, sarebbe lunga quanto il commento su un arbitro che non ha visto tre rigori. Tipo? Poter rivedere la partita per cogliere cinquanta sfumature che, in tempo reale, soprattutto quando sei in notturna, non puoi notare. Tipo? Sperare nella comprensione di giudicati e lettori perché valutare 28 giocatori (nelle amichevoli di più), 2 tecnici, 2 squadre e 5 arbitri non è uno scherzo. Un lavoro entusiasmante e necessariamente imperfetto che però, svolto con professionalità e buona fede, è oggi indispensabile: c’è un giornale senza? Da quarant’anni sulla Gazzetta esistono le pagelle, il «pezzo» più letto, commentato e criticato (o apprezzato) l’indomani. Quello che, per primo, riceverà a sua volta i voti del lettori, dai bar ai blog. Vogliamo riparlare del piacere del pagellista?
Ognuno, sul banchetto dello stadio, con il pc da un lato e il taccuino dall’altro, ha il suo metodo. Non puoi riempire il foglio di appunti chilometrici che poi neanche riusciresti a leggere. Non è male impostare uno schema con i nomi e qualche annotazione importante, magari corredata di punti esclamativi e segni grafici. Non è un gioco: un giudizio può influire su una carriera. E non può essere affidato (soltanto) al personalissimo gusto calcistico di chi scrive. Noi, in Gazzetta , abbiamo regole base. Regole semplici.
Chi fa un gol, soprattutto se decisivo, in teoria non può prendere meno di 7: il gol, non lo diceva solo Boskov, è il senso della partita. Ma poi devi valutare se quello stesso giocatore se n’è mangiati prima altri quattro che avrebbero chiuso il discorso: ecco che il ragionamento si complica, devi considerare le i più e i meno. Stesso discorso, al contrario, per i portieri: due parate decisive valgono due gol fatti. Una rete di un difensore che marcava l’attaccante più pericoloso, e s’è concesso l’affondo vincente, merita di più. Altre variabili: la partecipazione alla manovra, il movimento, il senso tattico, il sacrificio, la svogliatezza, l’alchimia (anche negativa) con i compagni. E il peso specifico: se vedi Pirlo, spesso «il migliore», che fa girare ad orologeria i suoi capisci che senza di lui sarebbe tutta un’altra storia, in negativo, e «voti» di conseguenza.
All’allenatore, in linea di principio, si assegna lo stesso voto di squadra: perché la squadra, oggi più di ieri, è l’allenatore. Ma non è una legge: si può vincere (o perdere) malgrado scelte tattiche e sostituzioni perfette (o strampalate). Contano anche i cartellini: un fallo da espulsione, soprattutto se inutile e non salvataggio da ultimo uomo, sposta inevitabilmente la bilancia verso il 4. Perché lasciare i compagni con un uomo in meno, per un «colpo di testa», è imperdonabile.
Così come sarebbe imperdonabile, per noi che scriviamo, trascurare l’emozione. Il calcio è «emozione» e dare 7,5 a uno che segna tre gol sarebbe peccato mortale. È vero, noi non esageriamo con i voti, qualcuno si lamenta ogni tanto di un «braccino corto», ma da un po’ non è più così. E comunque nessun lettore accetterebbe un 10 ogni settimana, non nel calcio almeno. C’è una gerarchia di difficoltà che influisce sul giudizio: per cui vietato stupirsi del 10+ a Milito nella finale di Champions del triplete, dei 10 a Lippi, Cannavaro e Buffon nella finale mondiale e, in tempi più recenti, del 10 a Lewandowski per i quattro gol al Real: se non ora, quando?