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 2013  ottobre 11 Venerdì calendario

UN SIGNOR NESSUNO NEL PAESE CON 500 MILIZIE ARMATE


[Angelo Del Boca]

Cosa sia oggi la Libia, lo sintetizza così: «Un Paese “governato” da un signor nessuno e in balìa di 500 fazioni armate». La sintesi è del più autorevole storico del colonialismo italiano in Nord Africa, autore di una delle più documentate biografia di Muammar Gheddafi: Angelo Del Boca.
Il primo ministro libico, Ali Zeidan, rapito e liberato dopo tre ore. Come leggere questo avvenimento?
«Come l’ennesima, eclatante testimonianza del grande caos che oggi regna in Libia. Un caos alimentato dall’estrema debolezza del vertice politico e dalla presenza, spaventosa, di almeno cinquecento fazioni armate. Una miscela terribile».
In questo caos armato che ruolo ha avuto il premier Zeidan?
«Zeidan aveva foraggiato le più forte tra questa miriade di fazioni, quella di Misurata, e lo aveva fatto con una cifra enorme: c’è chi parla di un miliardo di dollari».
Questo vuol dire che più che il premier di tutti, Ali Zeidan è diventato un capo fazione?
«No, perché non è che Zeidan volesse comandare su quelli di Misurata, che peraltro non lo avrebbero mai riconosciuto come loro capo. Quello che chiedeva, e per cui ha pagato, era solo appoggio e protezione. Si è visto come è andata a finire: sequestrato da un gruppo armato pagato dal ministero dell’Interno o della Difesa».
Da cosa nasce questa situazione di un premier sotto tiro. E in Libia questa non è solo una metafora.
«Soprattutto dalla debolezza di Zeidan: il primo ministro in carica è, in realtà, un “signor nessuno”».
Un «signor nessuno» che ha però ha il sostegno dell’Italia?
«Lei ha toccato un tasto dolente. Un capitolo spinoso fatto di verità scomode».
Quale sarebbero queste «verità»?
«Ali Zeidan è sostenuto dall’Italia sulla base delle promesse, eccessive, fatte dal premier Enrico Letta a Barack Obama in risposta alle richieste avanzate al nostro Paese dal presidente Usa».
Quali sono queste promesse eccessive?
«Sostanzialmente tre: una è quella di ricostruire l’esercito e la polizia libiche. E già questo, di per sé, è un impegno alquanto difficile da realizzare. La seconda promessa, è dare sostegno alle istituzione politiche, la cui fragilità è sotto gli occhi di tutti. Ma la promessa più incredibile è quella di disarmare le cinquecento fazioni armate. Disarmare trentamila uomini armati di cannoni e carri armati. Mi limito a dire che si tratta di una missione impossibile».
Il rapimento-lampo di Zeidan è avvenuto in pochi giorni dopo il blitz delle teste di cuoio Usa che ha portato alla cattura di uno dei capi di al Qaeda: Abu Anas al Libi. La «nuova Libia» è diventata una trincea avanzata della nebulosa qaedista. È una valutazione calzante?
«Direi proprio di sì. E aggiungo che oltre che essere una trincea di al Qaeda, la Libia è diventata anche una terra piena di armi vendute a chiunque abbia del denaro. Ho cercato disperatamente di mettermi in contatto con il primo ministro Letta, per spiegargli la situazione, visto che sono considerato un esperto di Libia».
Cosa avrebbe voluto consigliare al presidente del Consiglio?
«Innanzi tutto, di fare promesse molto meno impegnative, considerando anche la grave situazione in cui versa l’Italia. E poi, dovremmo anche ricordare un po’ la nostra storia, quella del ventennio fascista e quella di qualche anno fa».
Ricordarla per arrivare a quale conclusione?
«Il nostro proclamato impegno, e le promesse fatte a Obama, potrebbe essere visto dai libici come la terza “invasione” italiana del loro Paese».
Nel frattempo, nella base di Sigonella sono arrivati altri 200 marines americani.
«Un fatto che ha un preciso significato: gli Usa pensano alla Libia come ad un nuovo fronte».
E su questo nuovo fronte, quale sarebbe il ruolo assegnato all’Italia?
«Un ruolo che, anche sulla base delle promesse di cui sopra, sarebbe enorme. Tragicamente enorme».
Un Paese con istituzioni deboli e vertici politici ricattabili. In Liba c’è chi comincia a rimpiangere Muammar Gheddafi.
«È vero che Gheddafi si era macchiato di molti crimini e non aveva distribuito agli abitanti della Liba le somme enormi ricavate dal petrolio. Oggi si dice che il patrimonio personale di Gheddafi oscillasse tra i 60 e i 100 miliardi di dollari, sparsi nelle banche di mezzo mondo. Però, è altrettanto vero che in Libia non si viveva male ai tempi del Colonnello: il patrimonio pro capite era il più alto di tutta l’Africa, e oggi in molti cominciano a rimpiangere quei tempi, anche se mancava la democrazia. Oggi la Libia è considerato un Paese democratico. Ma dove sarebbe la democrazia in un Paese in cui a spadroneggiare sono le fazioni armate e si arriva addirittura ad arrestare il primo ministro?