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 2013  ottobre 11 Venerdì calendario

IL CASINÒ DI CASA GUARDÌ


Che l’uomo sia potente non è una novità: ha inventato mezza televisione, bella o brutta che sia. Non è un caso che dalla Siae, la società italiana per i diritti d’autore, Michelangelo Guardì, in arte Michele, porti a casa 2 milioni di euro ogni anno. Molto più di Vasco Rossi, di Luciano Ligabue, di Mogol, Gino Paoli e Guccini. La tv è il suo grande amore, e per quella continua a impegnarsi oggi. Non sappiamo quanto lo paghi la Rai, ma sicuramente è uno degli autori e registi che guadagnano di più. Ma non solo: è in rapporti così stretti con la Rai che nel 1997 Guardì acquista dall’azienda pubblica, a prezzo scontato, un appartamento su due piani in via Vespasiano 23.

FIN QUI TUTTO in ordine. Fino a quando non ha deciso che l’inquilino doveva essere un’agenzia della Sisal. Prima le beghe condominiali, poi i continui esposti al Comune. Ma i rapporti con quella strada che si affaccia su Città del Vaticano, diventano non tesi, ma irrespirabili, quando il primo piano dell’immobile viene affittato a una società intenzionata ad aprire l’ennesimo casinò legalizzato, quello delle macchinette mangiasoldi.
Un dettaglio che Guardì, in una delle tante trasmissioni che gestisce, parli spesso dei mali del gioco d’azzardo. Quello è il mestiere ufficiale, lui fa quello che funziona. E anche nel campo degli affari non può che andare sul sicuro: affidare due immobili di grande prestigio a locatari che si occupano di gioco d’azzardo in questo momento forse è garantito. Sono tutte società che hanno grandi disponibilità di denaro, i bilanci sono in regola, e la scommessa, soprattutto in periodo di crisi, paga bene.
I problemi però sono due. Il primo è la Città del Vaticano. Aprire una sorta di angolo del-l’azzardo a pochi passi dalla residenza di papa Francesco non profuma di buon gusto. Senza contare che il Vaticano, così come lo stesso Guardì quando produce programmi, considera il gioco uno dei mali irreparabili. La seconda questione, invece, riguarda più strettamente la convivenza e il cosiddetto buon vicinato: “Noi da quando i locali sono finiti in mano ad agenzie di scommesse – gridano nelle assemblee di condominio – non viviamo più. Perché le agenzie di scommesse si portano dietro una serie di problematiche legate alla micro criminalità, al consumo di bevande alcoliche, allo spaccio. L’apertura di un casinò aprirà una ulteriore serie di problematiche. E il tutto in una zona di pregio della città, con l’ingresso dei turisti e a due passi dal Vaticano”.
Più complesse, invece, la vicenda e la dismissione da parte della Rai di un immobile prestigioso e la conseguente scelta dell’acquirente che, per puro caso, è uno degli autori e registi che hanno fatto la storia dell’azienda pubblica. Guardì è entrato nelle stanze di viale Mazzini quando era un ragazzino. Prima come autore di programmi entrati nella storia come Due come noi e Studio 80, firmati insieme ad Antonello Falqui, altro regista storico di formati che hanno fatto il giro del mondo. Nel 1985 e l’anno successivo guida due edizione di Domenica In, all’epoca condotte dal giornalista Mino Damato e da Elisabetta Gardini, non destinate a entrare nella storia. Ma è l’anno successivo che Guardì ottiene un successo quasi inaspettato con una trasmissione che inventa, insieme ad altri autori, a tavolino: si tratta di Uno mattina, a oggi uno dei programmi più longevi e indiscussi di casa Rai. Gli anni a seguire lancia un giovanissimo Fabrizio Frizzi, rispolvera un Claudio Lippi da tempo lontano dal piccolo schermo, decide che è arrivato il momento anche di Alberto Castagna, fino ad allora conduttore del Tg, al quale affida proprio Uno mattina.

NEL 1997, QUANDO ormai la carriera è all’apice, Guardì ha guadagnato con il lavoro tanti soldi per comprarsi quello che poi sarà destinato a diventare un casinò o qualcosa di molto simile: l’immobile di via Vespasiano 23. Piano terra e primo piano vengono acquistati dopo un bando pubblico al quale è l’unico a partecipare, al prezzo di 2 miliardi e 350 milioni di lire. “Non solo – spiega Guardì
– posso dire che lo pagai a un prezzo più alto rispetto al valore di mercato. E comunque tutto venne fatto regolarmente. So che sono un personaggio pubblico e conosco i rischi. Dunque c’è stata la massima trasparenza. Il problema si presenta oggi perché la Sisal, che aveva lasciato anni fa il primo piano e mantenuto solo il piano terra, ha deciso di riprenderselo. Ma invito i condomini ad andare a vedere quali sono i progetti: non ci sarà nessun casinò, anzi. Uno spazio culturale. E comunque la Sisal è un’azienda che versa tanti soldi allo Stato e che lavora con tutte le autorizzazioni. Se ci fosse un ristorante i condomini avrebbero forse maggiori problemi”.