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 2013  ottobre 11 Venerdì calendario

ALLE POSTE IL PACCO ALITALIA: NON BASTA IL FLOP MISTRAL AIR


Nessuno voleva la decotta Alitalia privata, quindi Enrico Letta la rifila alle Poste Italiane, cioè allo Stato, visto che la società del servizio postale è controllata al cento per cento dal Tesoro. Lo conferma una nota di Palazzo Chigi: “Il governo esprime soddisfazione per la volontà di Poste spa di partecipare, come importante partner industriale, all’aumento di capitale di Alitalia”.

Il presidente dell’Ente nazionale aviazione civile, Vito Riggio, dice che se Alitalia non ottiene un aumento di capitale da 300 milioni e prestiti bancari da 200 entro domani gli aerei resteranno a terra. Le Poste dovrebbero romettere almeno 75 dei 300 milioni necessari, quasi un contributo a fondo perduto, visto che l’aumento di capitale serve solo a guadagnare qualche mese.

CHE C’ENTRA il servizio postale con il trasporto aereo? Le Poste guidate da Massimo Sarmi hanno già una loro compagnia aerea: si chiama Mistral Air, l’ha fondata nel 1981 Carlo Pedersoli, alias Bud Spencer, ed è al cento per cento delle Poste Italiane dal 2005. A vedere i bilanci, le Poste non sembrano l’azionista giusto per Alitalia, visto come hanno gestito Mistral, quattro Boeing 737-300 a doppio uso, di notte trasporto merci (lettere e non solo), di giorno voli charter per passeggeri. Gli ultimi tre bilanci sono stati chiusi tutti in rosso dall’amministratore delegato di Mistral Riccardo Sciolti: fatturato di 104 milioni di euro e perdite per 8,2 milioni nel 2012 (2,2 nel 2011, 1,5 nel 2010). Risultati che hanno spinto le Poste a mettere in vendita il cento per cento della sfortunata compagnia. E ora, invece di liberarsene, il dinamico Sarmi (che è in corsa sia per la riconferma alle Poste che per la presidenza di Telecom Italia) usa Mistral Air come gancio per investire in Alitalia. Nella pomposa prosa del governo: “Le sinergie industriali tra Alitalia e Poste, anche attraverso la compagnia aerea controllata Mistral Air, includono i settori del trasporto passeggeri e cargo – in coerenza con la strategia di sviluppo del-l’e-commerce –, della fidelizzazione clienti nonché la condivisione delle infrastrutture logistiche, informatiche e di controllo”. Nella nota Palazzo Chigi avverte: “Il governo si aspetta che i soci si assumano appieno le loro responsabilità”. Affermazione misteriosa, visto che i soci non hanno alcuna intenzione di rischiare altri soldi: pochi mesi fa hanno prestato soldi all’azienda, invece che metterli nel capitale sociale, sapendo quanto era rischioso.

Tutto questo avviene mentre il ministro del Tesoro Fabrizio Saccomanni (l’azionista unico delle Poste Italiane) è lontano dal dossier, a Washington per l’assemblea del Fondo monetario internazionale. Al ministero la pratica è stata lasciata nelle mani del capo di gabinetto Daniele Cabras.

Esulta il ministro Maurizio Lupi, Pdl: “ Ce l’abbiamo fatta”. Il Pd invece è in imbarazzo, a cominciare dal segretario Guglielmo Epifani che ieri sera a Otto e mezzo su La7 si limita a dire: “Nel 2008 preferivo Lufthansa, si tirò indietro”. Poi però si oppose alla fusione di Air France. E quando Lilli Gruber gli chiede che pensa dell’arrivo delle Poste, ammette di non essere neppure informato della nota di palazzo Chigi: “Non sappiamo ancora se è vero, non sto seguendo questa vertenza”. I parlamentari Pd vicini a Matteo Renzi cominciano a scaldarsi. Lorenza Bonaccorsi, deputata Pd della commissione Trasporti, avverte: “Il salvataggio di un’ azienda completamente privata, quale è Alitalia ormai da cinque anni, compete ai soci e a chi ha ricevuto dallo Stato un’azienda libera da debiti. I contribuenti hanno già pagato a caro prezzo”. Troppo tardi.