Lirio Abbate, L’Espresso 11/10/2013, 11 ottobre 2013
IL CLAN DEGLI EGIZIANI
Cinici e manageriali. I nuovi negrieri sanno di avere un mercato che continua a espandersi. «Il rubinetto si è aperto, bisogna prepararsi per altro lavoro», annuncia soddisfatto al telefono uno dei registi del traffico di uomini. Siamo agli inizi di settembre ed è chiaro a cosa si riferisce: un nuovo esodo sta cominciando. Il mancato intervento americano in Siria dopo l’attacco chimico ha dissolto la speranza in una conclusione della guerra civile: molti da Damasco si sono decisi a partire verso l’Europa. Altri lasciano le tendopoli del Libano, dove sono accampati da mesi oltre 700 mila siriani. Spesso sono famiglie borghesi, che bruciano i risparmi di una vita per scappare dai bombardamenti e dagli eccidi. Merce nuova, carne da barcone pronta a finire nella rete degli scafisti.
C’è un documento inedito esaminato da “l’Espresso” che permette di ricostruire le ultime rotte della grande fuga e l’evoluzione industriale dei trafficanti. È il frutto delle indagini condotte in queste settimane dallo Sco della polizia di Stato per conto delle procure di Catania e Siracusa che il 12 settembre hanno permesso per la prima volta di catturare una delle “navi madre” usate per trasferire i migranti fino all’Italia. Le intercettazioni hanno individuato le centrali dello sfruttamento.
Il primo passo è la frontiera tra Siria e Libano, ormai tornata quasi completamente sotto il controllo delle truppe fedeli al regime di Damasco. Lì basta pagare una mazzetta per varcare il confine. Lo racconta uno dei fuggitivi di 41 anni proveniente da Damasco e arrivato a Siracusa con la “nave madre” sequestrata. «Mi sono spostato dalla Siria in Libano, giungendo in modo irregolare. Premetto che dalla Siria è facile uscire in quanto i militari non fanno adeguati controlli alla frontiera e comunque basta pagare anche mille dollari. Tramite un’organizzazione siriana ho conosciuto un libanese, Ali Abu, a cui ho dato 2.800 dollari americani per condurmi in Italia e poi in Europa. Ricordo che dal Libano sono giunto in Egitto dove sono rimasto un giorno».
Alessandria d’Egitto è il grande terminal dell’esodo dalla Siria. Spesso vengono concentrati nella metropoli anche curdi, somali, eritrei e i giovani egiziani che sognano un futuro lontano dal caos del loro paese. Lì l’organizzazione è attenta a non dare nell’occhio. E da quel porto prosegue il viaggio del profugo: «La notte del 7 settembre scorso, verso l’una, ci hanno fatti arrivare in una spiaggia che abbiamo raggiunto a piedi nella città di Alessandria d’Egitto. Poi a piccoli gruppi siamo saliti sul peschereccio con il quale siamo sbarcati a Siracusa». L’uomo spiega di essere arrivato da solo in Sicilia lasciando a Damasco la moglie e cinque figli: spera di poterli far arrivare nel Paese del Nord Europa dove è diretto, grazie al ricongiungimento familiare.
Il network criminale infatti promette di assistere i viaggiatori fino alla destinazione finale, ben oltre l’Italia. Ha referenti dovunque, che consegnano biglietti del treno o accompagnano in auto. Come un tour operator offre servizi diversificati. Possono fornire anche documenti di identità falsi, stampati in una tipografia clandestina a Napoli: carte che vanno bruciate una volta arrivati nell’Europa settentrionale, quando i rifugiati potranno chiedere asilo senza rischiare di venire fermati in Italia, dove la burocrazia è più lenta e le opportunità di lavoro inesistenti. Ogni prestazione ha un prezzo: il trasporto base dalla Siria costa 2.800 dollari, quello full inclusive arriva fino a 15 mila. E come una cosca mafiosa, l’organizzazione cura anche il ritorno alla base degli scafisti che guidano i barconi nella fase terminale dell’approdo, le persone che rischiano di più e che devono sfuggire alle polizie restando in silenzio. Per muoversi indisturbati, i trafficanti hanno uomini ovunque, soprattutto nelle regioni del Sud.
Le “navi madre” dell’organizzazione, quelle in grado di attraversare il Mediterraneo, sono preziose. Restano a largo e fanno scendere i migranti un gruppo alla volta, imbarcandoli su barchette precarie che mettono al traino vuote per poi compiere l’ultimo tratto fino alle spiagge italiane. Lampedusa è troppo sorvegliata e quindi cercano altre sponde, litorali vergini. Per questo a inizio settembre uno dei boss chiama un referente in Sicilia, Said, che vive da alcuni anni nel Ragusano. «Voglio un posto dove nessun altro è arrivato o è potuto arrivare. Voglio un paese che nessuno conosce». L’uomo in Sicilia promette: «Troverò un posto dove nessuno è mai arrivato. Ma avete come prenderli?». «Noi abbiamo quello che li fa partire. Tu devi indicare solo i punti (le cui coordinate per il gps vengono indicate al telefono) e non ti devi interessare del resto dell’organizzazione...».
Ai vertici della holding criminale ci sono un egiziano chiamato Hannafy e il libanese Alì Abu. Sono ancora liberi anche se hanno subito un duro colpo. Lo scorso 12 settembre i pm di Catania sono riusciti a sequestrare la loro nave madre, che aveva trasbordato 199 siriani ed egiziani su alcune piccole imbarcazioni a largo di Siracusa. È un peschereccio lungo 30 metri di colore blu: i migranti interrogati lo hanno riconosciuto anche grazie a una grande scritta in arabo su una parete interna che proclama “Allah è unico”.
È la prima volta che accade e i boss del traffico sono molto preoccupati. Hannafy viene informato in tempo reale e si muove subito per studiare le contromosse. Il suo telefono è rovente. Ordina a un suo uomo di assoldare immediatamente un avvocato a Catania e mandarlo nel porto dove sta arrivando la nave intecettata, scortata dalle unità militari. Vuole che il legale avvii subito la procedura per il dissequestro e fa partire per la Sicilia un bonifico con il denaro per le prime spese e il compenso dell’avvocato.
Poi il capo si preoccupa per la tenuta dell’organizzazione. Teme che l’equipaggio fermato a bordo del peschereccio possa collaborare con gli investigatori e rivelare i suoi segreti. Per questo l’avvocato deve muoversi di corsa. Avverte Said: «Se sono venuti a sapere di questa, abbiamo finito tutto». E gli intima di cambiare cellulare. Il trafficante vuole capire come hanno fatto gli italiani a scoprire la sua nave: teme che ci sia stato un tradimento. Telefona a Ahmed, un ragazzo sbarcato il giorno prima a Siracusa assieme a una folla di profughi. È il “sorvegliante”, incaricato di vigilare sul carico umano anche dopo l’arrivo in Italia. Ahmed spiega di avere ingannato la polizia grazie all’aiuto di una giovane siriana: «Gli ha detto che ero suo marito». Hannafy ha un solo interesse: salvare la nave madre dal sequestro. Chiede ad Ahmed se a lui e agli altri sono state fatte domande sul peschereccio blu. E gli intima di non fare scherzi: «Vi possono fare il confronto con loro (l’equipaggio ndr), ti scongiuro fai attenzione. Tu e i ragazzi non li conoscete: voi siete venuti con la barchetta dalla Siria». E ribadisce: «Dovete negare che li conoscete perché così eviteremo un grosso problema per voi e per loro. Va bene?». Ahmed con deferenza promette di obbedire. E chiude la conversazione salutando: «Allah è unico». La stessa frase scritta nella pancia della nave madre. n