Michele Ainis, L’Espresso 11/10/2013, 11 ottobre 2013
IDEA, VOTIAMO COME A LONDRA
Il governo è vivo, la legge elettorale è morta. Resta soltanto da celebrarne il funerale, ma ci penserà a dicembre la Consulta. E a quel punto pure le Camere diventeranno un cimitero: come può andare avanti l’attività legislativa se il legislatore è un abusivo, se viene proclamata illegittima la sua stessa elezione? E come potrà l’esecutivo reggersi sulla fiducia d’un Parlamento di cadaveri?
Insomma, i politici italiani farebbero meglio a darsi una scossa. Nel proprio interesse, prima ancora che nel nostro. Loro invece traccheggiano, tanto per cambiare. O al più filosofeggiano sui massimi sistemi, discettano sul nesso tra forma di governo e legge elettorale, promettono di cambiare la seconda quando dalla testa di Giove verrà fuori un’idea per cambiare la prima. Errore: il meglio è nemico del bene, come ci hanno insegnato i nostri nonni. E da qui al giudizio della Corte costituzionale mancano ormai poche settimane. Urge un tampone, un rimedio preventivo. Ma la toppa non può certo consistere nell’eliminazione del premio di maggioranza dal Porcellum. In primo luogo perché non basterebbe a salvarlo dalla mannaia della Consulta: i vizi di questa legge sono plurimi, come le pluricandidature e i plurinominati. E in secondo luogo perché ne scaturirebbe un proporzionale puro, dunque una governabilità impura.
TUTTAVIA UNA SOLUZIONE bell’e pronta esiste già: il Mattarellum. Ovvero il marchingegno elettorale (maggioritario per tre quarti, proporzionale per un quarto) che abbiamo usato dal 1994 al 2001, e che nel 2011 raccolse un milione e 200 mila firme in un referendum che intendeva riesumarlo. Certo, anche il Mattarellum avrebbe bisogno d’una toppa. Correggendolo per eleggere più donne in Parlamento. E depurandolo dal meccanismo infernale dello scorporo, che sottraeva a ogni partito i voti dei candidati vittoriosi nei collegi, e che a suo tempo provocò un’inondazione di liste civetta.
Sennonché già risuona l’obiezione: guardiamo avanti, scurdammoce ’o passato. E allora via con la soluzione di ricambio. Pronta per l’uso anch’essa, oltre che saggia per definizione, dato che l’hanno confezionata i 35 saggi insediati dal governo. Un doppio turno eventuale, se vogliamo affibbiargli un’etichetta. Funziona così: vince la lotteria delle elezioni il partito (o la coalizione) che incassa il 45 per cento dei suffragi, giacché immediatamente ottiene in premio il 55 per cento dei seggi in Parlamento. E se nessuno supera la soglia? Ballottaggio tra le due forze più votate, ma con un paio di divieti. Al primo turno, vietato computare i voti delle liste che non raggiungano il 5 per cento dei consensi (un deterrente contro le famiglie troppo numerose). Al secondo turno, vietato imbarcare nuovi viaggiatori (altrimenti l’alleanza diventa un caravanserraglio).
PUÒ STARCI LA SINISTRA? Probabilmente sì: il doppio turno è nei suoi cromosomi. Può starci la destra? Probabilmente no, per la ragione opposta: a quanto pare i suoi elettori sono pigri, difficile costringerli a imbucare per due volte la scheda elettorale. Ma un modo per salvare capre e cavoli c’è, e c’è da lungo tempo. L’immaginò John Stuart Mill nel 1861, lo ripropose Luigi Einaudi nel 1953. Oggi è in uso in Australia, nonché per eleggere il sindaco di Londra. Come? Con un ballottaggio preventivo, con un doppio turno in un turno solo. È il sistema del voto alternativo: l’elettore vota per il suo candidato preferito, però al contempo esprime una seconda scelta. Se qualcuno fa il pieno con il primo voto, bene: viene eletto. Altrimenti l’elezione si guadagna sommando primi e secondi voti.
Va da sé che il "supplementary vote" penalizza i candidati di bandiera, ma offre in cambio una serie di vantaggi. Perché non affatica gli elettori con una doppia tornata. Perché evita di sprecarne il voto, come succede nel maggioritario puro a chi rimanga in minoranza. E perché consegna ai cittadini il potere di decidere le coalizioni di governo, sottraendolo ai partiti. Insomma, è l’uovo di Colombo. Ma difficilmente i nostri politici faranno coccodè.