Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  ottobre 11 Venerdì calendario

ALFANO CAPO PDL SE NO È MEGLIO FARE

DUE PARTITI –

È il momento di dare risposte razionali e realistiche al drammatico e confuso dibattito che è in corso nel Pdl. In seguito alla scissione di Fini, all’esplosione della crisi finanziaria internazionale e all’uso politico della giustizia concentrato contro Silvio Berlusconi, c’è stata la sconfitta secca del 2011 (la crisi del governo Berlusconi).
Ad essa è seguita una vicenda assai tortuosa e contraddittoria dipanatasi nel 2012 fino al cosiddetto «pareggio» del 2013. Dopo il voto del 2013 il Pdl è andato avanti a zig-zag, quasi si trattasse di un sidecar e non di un grande partito. Il governo Letta-Alfano è nato per un’iniziativa politica di Silvio Berlusconi, che ha capito che quello era l’unico sbocco politico possibile.
Con tutti i suoi limiti e le sue profonde contraddizioni, rimaniamo dell’avviso che con il governo Letta- Alfano si può salvare il salvabile, cercando di rimettere in moto l’econo - mia e realizzando incisive riforme istituzionali. Si è anche ipotizzato che questo governo potesse mettere in atto un processo di pacificazione. Contro questa possibilità si sono mosse forze molto consistenti: un settore della magistratura, alcuni giornali-partito (Repubblica-Espresso-Il Fatto), alcune trasmissioni televisive, un’area del Pd. Su questo terreno il presidente della Repubblica Napolitano è stato anch’egli messo sotto schiaffo, per alcuni aspetti condizionato, e per altri neutralizzato dall’azione congiunta degli uomini di De Benedetti e di quella degli esponenti di punta diMagistratura Democratica. Così l’attacco giudiziariocontro Berlusconi è ripreso durante il governo Letta con una violenza simile alle fasi precedenti (sia quando eravamo al governo, sia quando eravamo all’opposizione), con l’aggravante che si è arrivati ad una condanna definitiva. Si è verificato un fatto del tutto inaccettabile, per cui il leader di tutto uno schieramento politico viene addirittura espulso dal quadro istituzionale- parlamentare.
Detto ciò in modo inequivocabile, quello che contestiamo alla radice è che la risposta alla deriva giudiziaria possa essere di tipo radicale ed estremista. A nostro avviso la deriva estremista di questi mesi ha fatto solo danni al centrodestra e allo stesso Berlusconi: la marcia sul palazzo di giustizia a Milano, le invettive contro Napolitano, le dimissioni dei parlamentari gestite non come atto di solidarietà e di protesta (cosa condivisibile), ma proprio come fuoriuscita dal Parlamento in quanto tale, la tendenza a trapassare continuamente da un giusto contrattualismo (vedi molte delle elaborazioni di Brunetta) ad aut-aut finalizzati a far saltare il governo. Il compimento di questa deriva estremista è stata l’improv - vida crisi di governo decretata qualche giorno fa.
A questa deriva si sono contrapposti non dei «traditori», ma dei parlamentari, dirigenti di partito e in primis Angelino Alfano, che hanno ritenuto e ritengono che con l’estremismo non si cava un ragno dal buco. Dopo il travaglio di alcuni giorni che va assolutamente rispettato, anche perché accompagnato dalle conseguenze nefaste del bombardamento giudiziario (condanna definitiva a quattro anni, interdizione dai pubblici uffici e quindi decadenza e impossibilità alla ricandidatura), Berlusconi si è convinto che la crisidi governo fosse una scelta politica sbagliata. D’altra parte per una soluzione positiva alla crisi si sono mobilitati tutti i «mondi» che stanno alle nostre spalle: il Ppe a livello internazionale, in Italia la Confindustria, tutte le associazioni di Rete Italia e anche la Cisl e la Uil. Come è evidente, però (vedi l’iniziativa dell’onorevo - le Fitto e dei cosiddetti lealisti), il voto sul governo non ha affatto sanato la situazione interna del Pdl.
A questo punto il toro va preso per le corna, attraverso l’esplicazione di due possibili soluzioni. La soluzione unitaria deve essere dinamica e chiara nei suoi contenuti, per essere in grado di renderci nuovamente competitivi da qui alle prossime elezioni rispetto ad una sinistra che si sta attrezzando dislocandosi sul binomio Enrico Letta (il presente) e Matteo Renzi (il futuro). La nostra soluzione politica non può risolversi nel fare del Pdl una sorta di gigantesco ring caratterizzato da una conflittualità permanente (che inizierebbe dal Consiglio Nazionale per approdare ad un Congresso privo, allo stato, anche delle sue precondizioni). L’ipotesi unitaria per essere reale, dinamica e competitiva, non può che fondarsi esplicitamente sulla scelta interconnessa di due personalità quali quella di Silvio Berlusconi e quella di Angelino Alfano.
Per un verso Berlusconi è la continuità, ha tuttora un reale carisma e il consistente sostegno di un pezzo del mondo del centro-destra; per altro verso egli è condizionato e limitato dalle conseguenze negative dell’inaccettabile attacco giudiziario. Siccome, però, non è che possiamo contrapporci ad esso con la lotta armata e nemmeno con un estremismo velleitario, bisogna fare di necessità virtù: Berlusconi deve esplicitamente affermare che Alfano è il suo successore per ciò che riguarda le future partite elettorali-istituzionali e tacitare le contestazioni interne, che vanno evidentemente superate anche con onesti compromessi fra le varie sensibilità e personalità. In questo modo si può combinare insieme la continuità (Berlusconi) con la novità (Alfano) che dovrebbe sommare insieme le cariche di segretario del partito e di vicepresidente del consiglio, puntando a far durare il governo fino al 2015 e a contrapporre alla «novità» costituita da Renzi un candidato altrettanto innovativo, giovane e sostenuto da tutti nel centrodestra, quale sarebbe appunto Alfano. Questa scelta, poi, potrebbe essere convalidata anche dalle primarie.
Qualora questa realtà - che riteniamo preferenziale - non sia possibile, meglio una separazione consensuale in due partiti: il Pdl, più moderato, e Forza Italia, più movimentista e conflittuale. I due partiti potrebbero essere collegati da un patto federativo e da un comune riferimento a Berlusconi, che dovrebbe trovare nelle condizioni assai difficili che si prospettano un ruolo di alto profilo, di natura carismatica e comunicativa.
Ciò che sarebbe da evitare ad ogni costo è non fare nessuna scelta di alto profilo e rimanere nella morta gora attuale, costituita da un partito falsamente unico, in realtà attraversato da una violenta conflittualità interna che potrebbe risolversi in uno scontro senza vincitori, ma con tutti sconfitti.