Giulia Crivelli, Il Sole 24 Ore 11/10/2013, 11 ottobre 2013
«DUBAI CAPITALE DELLA MODA»
Mohamed Alabbar è uno degli uomini più ricchi e potenti di Dubai. Fondatore e presidente di Emaar Properties, un gruppo da 2,38 miliardi di dollari di fatturato e 580 milioni di utili netti nel 2012, ha 52 anni e sette figli, cinque femmine e due maschi. Alabbar indossa sempre la tipica veste bianca degli arabi, ma non porta i tradizionali sandali, bensì scarpe in pelle stringate, molto occidentali. «Il marchio? Ferragamo, sono le mie scarpe preferite e quelle che più si adattano ai miei piedi», spiega divertito. «Sento di essere ancora un uomo del deserto e la mia grande passione restano i cavalli. Ma subito dopo viene il made in Italy».
Emaar Properties si occupa di real estate e negli ultimi vent’anni ha firmato i più importanti progetti immobiliari di Dubai, estendendo poi i suoi interessi all’Egitto e alla Turchia e spaziando dal residenziale al commerciale, dagli shopping mall agli alberghi. «Ogni progetto di Emaar - spiega Alabbar - è di lungo periodo e ogni collaborazione parte da una visione comune: un esempio perfetto è la partnership con Giorgio Armani. Nel 2010 abbiamo aperto il primo Armani Hotel & Residences proprio qui a Dubai, all’interno del Burj Khalifa, e l’anno dopo abbiamo inaugurato quello di Milano, in via Manzoni. Le prossime tappe sono altre città globali come New York, Londra, Parigi e Shanghai. In Medio Oriente, come in tutto il mondo, Armani è considerato il principale ambasciatore della moda e dello stile di vita italiano e all’interno del Dubai Mall i negozi dei marchi che fanno parte dell’universo Armani sono tra quelli di maggior successo».
Alabbar però non è interessato solo ai grandi nomi della moda e del lusso italiani: vuole conoscere a far conoscere anche l’architettura e il design made in Italy e gli stilisti emergenti. «Qualche anno fa contattammo Mario Bellini e insieme fantasticammo sulla costruzione di un ponte sospeso su una parte della città, ma alla fine non trovammo la soluzione giusta. Solo che per me, e credo anche per Bellini, la parola impossibile non esiste: la nascita di quel ponte è solo rimandata. Quanto alla moda, ci interessa inserire nel Dubai Mall (1.200 negozi e 200 ristoranti distribuiti su oltre un milione di metri quadrati, solo in Cina c’è un mall ancora più gigantesco), marchi ancora poco conosciuti, ma che potrebbero essere gli Armani di domani. Anche per questo abbiamo stretto una partnership con Vogue Italia e organizzato la Vogue Fashion Dubai Experience: stasera (ieri sera per chi legge, ndr) ospiteremo una sfilata di stilisti emergenti italiani e mediorientali e resteremo aperti fino alle 3 di notte, anziché fino a mezzanotte. Aspettiamo 500mila visitatori, mentre di solito ne abbiamo 200mila al giorno».
L’evento è stato annunciato in febbraio e coinvolge direttamente marchi italiani come Roberto Cavalli, DSquared2, Fendi, Italia Independent (si veda l’articolo a fianco), Max Mara, Moncler e Versace, mentre Cruciani è tra gli sponsor ufficiali. «Come tutto quello che facciamo, questo è un progetto nato per durare nel tempo, vogliamo avere un grande evento così o anche più grande e articolato ogni anno - dice il presidente di Emaar Properties -. In passato avevamo parlato con altri operatori regionali del real estate e del retail e con le istituzioni di Dubai con l’obiettivo di creare una vera fashion week, ma ci siamo resi conto che sarebbe forse controproducente complicare ulteriormente il calendario mondiale della moda. Però vogliamo che Dubai diventi la capitale della moda e del lusso del Medio Oriente e non solo: ci sono 1,5 miliardi di persone che possono raggiungere la città con al massimo tre ore di volo e nel 2014 il nostro aeroporto, con 2 miliardi di passeggeri, supererà Heathrow e diventerà il primo scalo al mondo. Siamo un ideale ponte con l’Asia e tutti sappiamo quanto siano importanti i mercati del Far East per i marchi italiani. Lavorando insieme, Dubai può ambire a essere un fashion hub per 2,5 miliardi di consumatori: già oggi abbiamo moltissimi turisti dalla Cina e da altri Paesi asiatici e in futuro non potranno che aumentare».