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 2013  ottobre 11 Venerdì calendario

SEQUESTRO LAMPO PER ZEIDAN LIBIA SOTTO IL RICATTO DELLE MILIZIE


Ma come stupirsi, se ieri alle prime luci dell’alba, a Tripoli, un centinaio di miliziani armati che parevano bardati per la guerra atomica hanno tirato giù dal suo letto il premier, e se lo son portato via, in brache e camicia, le pantofole ai piedi, ancora mezz’addormentato, tra uno sgommare di fuoristrada impazziti e grida esultanti di «Allah u-akbar».
Come stupirsi, nella Libia d’oggi, dove non passa giorno che i titoli dei media non raccontino di almeno un morto ammazzato in qualche sparatoria tra bande rivali, o d’un sequestro di qualche malcapitato che faceva il politico.
Certo, i tanti malcapitati senza nome contano poco, ormai appena una notizia in prima, ma se il malcapitato è invece il capo del governo, Ali Zeidan, la faccenda appare allora più drammatica, e si può anche capire perché perfino la Nato subito abbia fatto vedere i muscoli e abbia rassicurato: se serve, noi siamo qui.
In Libia si sta combattendo una vera guerra per bande; ma non di quattro disgraziati che s’ammazzano tra loro, no, qui la guerra è una storia seria, di dimensione gigantesche, con 250mila uomini inquadrati come solo gli eserciti fanno, stipendiati dai vari Ministeri, per «tenere l’ordine» ma in feroce concorrenza tra di loro, più un altro milione forse che – anche se non fa il miliziano di professione – comunque il kalashnikov lo tiene ben oliato sotto il letto, e lo tira fuori, e lo usa senza risparmio.
Ai tempi di Gheddafi, la Libia era una specie di immenso deposito d’armi, c’erano più armi che scarpe. Il Colonnello, poveraccio ora che gli hanno fatto fare quella fine terribile, stuprato e linciato come una pecora che bela perduta, lui le armi le comprava da chiunque, italiani, francesi, russi, americani, tedeschi, e le disseminava in ogni angolo del paese, più o meno tra le mani di quelli che giuravano fedeltà eterna alla Jamahiryia. Poi però – poco meno di due anni fa – quando la Jamahiryia finì per sempre, tutto quel bendiddio sparì d’incanto, in mille rivoli senza patente né bollino ufficiale. E nacquero ben 1.725 bande di «rivoluzionari» (li chiamano i Twarr).
Un giorno che ho chiesto al sindaco di Tripoli chi tenesse l’ordine nella capitale, per i posti di blocco che spuntavano su come funghi, o per le sparatorie che addobbano il paesaggio acustico d’ogni quartiere, il pover’uomo allargò le braccia, sconsolato. Eravamo nel vecchio palazzo delle Regie Poste Italiane, dove il Municipio di Tripoli si è sistemato alla meglio, e anche lui, il Sindaco, pareva un sopravvissuto. «Ma che ordine vuole che io possa tenere; qui, e in tutta la Libia, a comandare sono 40 bande di uomini armati fino al collo».
Le 40 bande nelle quali si sono poi fuse le iniziali 1.725 sono divise per aree geografiche, per struttura tribale, per fidelismo religioso. Se la banda di Zintan controlla l’aeroporto e la montagna, quella di Misurata comanda nelle aree centrali del paese e sotto la marina, e poi c’è quella che vuole Derna islamizzata, la banda dei Martiri della rivoluzione di febbraio a Bengasi, il Battaglione di Rafallah in Cirenaica, i Martiri di Abu Salim, la Khatiba al-Sawaip, la Brigata Sadum al-Suwayli. Ci sono quelli che hanno sequestrato Zeidan, la Camera della Rivoluzione stipendiata dal Ministero dell’Interno, ci sono i tantissimi miliziani dello Scudo libico che stanno a libro paga del Ministero della Difesa e sono presenti dovunque, tra mare e deserto, e poi, soprattutto, c’è Ansar al-Sharia, che come dice il nome vuole fare della Libia un emirato islamico e pare stia organizzando un gruppone gigantesco dove far confluire tutti gli uomini del Movimento per il Jihad nell’Africa settentrionale.
Il povero Ali Zeidan è finito preso in mezzo a tutta questa guerra, maltrattato – pare – perché aveva dato via libera ai Navy Seals che una settimana fa hanno rapito il feroce Abu Anas al-Libi in piena Tripoli. Gli islamisti hanno gridato vendetta, e dal Congresso sono partiti ordini che volevano restaurare la «dignità nazionale» vilmente danneggiata.
Ma intanto anche il petrolio, che fa la ricchezza vera della Libia, stenta a esser pompato con tutti questi miliziani tra pozzi e raffinerie, e il governo italiano fa un vertice straordinario per capire che diavolo sia questa Libia post-Gheddafi.