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 2013  ottobre 11 Venerdì calendario

«I MIEI VOLTI PER AVATAR E MATRIX LA COSA PIÙ DIFFICILE? LE LABBRA»


Paul Debevec è uomo dai mille volti. L’espressione ferina di Zoe Saldana nella versione aliena di «Avatar», quella ineffabile da software incarnato dell’Agente Smith, Hugo Weaver in «Matrix». E poi: i mutamenti della faccia di Brad Pitt in «Lo strano caso di Benjamin Button», fino ai volti «spaziali» del duo Clooney-Bullock nel blockbuster «Gravity». «Il mago delle facce» di Hollywood non crea dal nulla, ma ha un suo trucco: una scatola magica che si chiama «Light Stage» ed è capace di «catturare» le espressioni umane per catapultarle in modi e mondi impossibili. Paul Debevec è alla View Conference di Torino, Festival della Grafica digitale, dove racconterà come il futuro del cinema potrebbe dipendere poco da attori in carne e ossa.
La presenza di set fisici è sempre meno utilizzata nelle produzioni attuali, ma il successo o meno dei film è ancora legato alle capacità comunicative ed emotive degli esseri umani. Anche in colossal come «Gravity» di Cuarón, girato per più della metà in ambienti virtuali. «Perché dietro a ogni performance digitale c’è ancora la capacità di un attore reale», spiega Debevec. «Così Gollum in “Il Signor degli Anelli” era più che credibile grazie ad Andy Serkis, oppure il tentacolare Davy Jones de “I pirati dei Caraibi” doveva tutta la sua forza a Bill Nighy». Il futuro potrà essere diverso, ma la magia del cinema attuale sta proprio nel non creare stacco tra reale e virtuale: i due mondi diventano uno proprio grazie al lavoro del ricercatore dell’Institute for Creative Technologies . Un lavoro semplice, da raccontare: «Metto esseri digitali all’interno di scene reali e persone reali all’interno di contesti digitali». Quello che alla fine è soprattutto un gioco di luci.
Il punto nodale della riuscita del «trucco» sta lì, nella faccia umana. «Passiamo gran parte della nostra vita a guardare facce, le conosciamo come niente altro», spiega il programmatore. «Riconosciamo emozioni e pensieri nel volto degli altri, sappiamo osservare in chi ci sta davanti l’elasticità della pelle e dei muscoli che si muovono sotto». Con un apparente paradosso, dunque, creare animali immaginari o alieni di mondi lontani è più facile che simulacri di noi stessi. «Specialmente quando si tratta di ricreare le espressioni che facciamo quando parliamo: le labbra si muovono veloci e si allargano, curvano e uniscono in frazioni di secondo». E mentre parliamo guardiamo la bocca del nostro interlocutore. Prosegue Debevec: «Dunque quando vediamo delle labbra digitali abbiamo molte aspettative».
Ecco quindi il nuovo progetto di Debevec, chiamato «Digital Ira»: la realizzazione di un volto umano foto-realistico capace di «agire» in tempo reale. L’attore parla, ride e urla, il computer, in diretta, ricrea la sua faccia in ogni espressione, a tutto tondo. Il progetto è stato sviluppato insieme ad Activision, colosso dei videogiochi, «perché buona parte del futuro passa da qui», spiega Debevec. «Quando le console di nuova generazione, Xbox One e Playstation 4, saranno “maturate” la differenza tra videogames e film sarà indistinguibile». La distinzione sarà nella presenza o meno di interattività nella trama.
L’approdo ai videogiochi, via Hollywood, definisce perfettamente l’anima «nerd» del genio di Paul Debevec: «Guerre stellari» e «Ritorno al futuro» come ispirazione, il Commodore 64 per creare le prime animazioni 3D. La differenza sta poi nei risultati: nel 2002 Debevec è stato inserito nella lista dei 100 più importanti innovatori nel mondo sotto i 35 anni. Con un obiettivo da portare, attivamente, a compimento: un futuro dell’intrattenimento tutto al digitale. «I film non sono altro che prodotti virtuali, lunghe stringhe di 0 e 1 che — attraverso la Rete — arrivano nei cinema o sulla vostra televisione. Non c’è alcun motivo perché debba esserci qualcosa di fisico, di reale, nella loro produzione», conclude Debevec. «Tranne una cosa, s’intende: la creatività umana».