Federico Fubini, la Repubblica 10/10/2013, 10 ottobre 2013
LA BANCHIERA
E pensare che era tutto iniziato come il più virile degli hobby: la caccia all’anatra. Nel novembre di 103 anni fa un gruppo di uomini guidati da John Pierpont Morgan e Benjamin Strong si trovarono a Jekyll Island, in Georgia, ufficialmente solo per sparare di giorno e bere whisky la sera. In realtà progettavano quella che sarebbe nata tre anni dopo il nome di Federal Reserve System. La banca centrale americana. E se qualcuno avesse detto al vecchio J. P. Morgan che un giorno la sua creatura sarebbe stata guidata da una signora, forse davvero si sarebbe dedicato esclusivamente alla caccia all’anatra.
Naturalmente il rapporto fra il mondo della finanza (pubblica e privata) e le donne si è evoluto nel secolo che ci divide dalla nascita della Fed. Solo che lo ha fatto meno di quanto sia successo nel mondo tutto intorno alle banche centrali o alle sale operative di Wall Street, della City, di Francoforte o di Milano. La psicologia è rimasta più vicina ai tempi di Jeckyll Island di quanto gli stessi protagonisti di oggi non credano: basta vedere cos’è successo a Manhattan dopo che Lehman Brothers fallì. Alcuni dottori iniziarono a ricevere pazienti che chiedevano loro iniezioni di testosterone. Pareva che tutti di colpo avessero bisogno di dosi sempre maggiori di ormone maschile.
Ciò che mi stupiva — spiegò in seguito al Financial Times il dottor Lionel Bissoon — è che il 90% dei pazienti lavoravano a Wall Street». Cercavano tutti un po’ di aggressività in più per trovare la forza per tornare a rischiare grandi somme di denaro. Ma Bissoon fu anche più sorpreso quando vide arrivare nel suo studio anche qualcuna delle rare trader delle sale operative di New York. Anche loro volevano il testosterone. Poco importa che uno studio del 2001 svolto all’Università della California, Davis, avesse dimostrato l’opposto: un eccesso di aggressività maschile nel mondo della finanza è pericoloso. Gli uomini comprano e vendono azioni 45 volte più spesso delle donne e ciò nel complesso erode i loro profitti.
Christine Lagarde, la prima donne direttore generale del Fondo monetario, ha riassunto tutto in una battuta: «Se Lehman Brothers si fosse chiamata Lehman Sisters (Sorelle e non Fratelli Lehman, ndr), non sarebbe finita così». Chi non è d’accordo con Lagarde ricorda il caso di Erin Callan, l’ultimo chief financial officer della banca di Wall Street il cui collasso precipitò la grande crisi. Callan era sveglia, svelta e priva anche solo di un semplice diploma da contabile. Fu portata dal presidente di Lehman a gestire un bilancio da oltre 600 miliardi di dollari, in parte, proprio perché era donna. La banca voleva cooptare ai piani alti più rappresentanti di minoranze etniche e più persone di sesso o orientamento diverso. Ma finì per gestire quella metamorfosi come fosse stata la scommessa su un subprime alimentata dal testosterone: senza attenzione al merito e ai contenuti.
Non è questo il tipo di parità che auspica Sylvie Goulard, il deputato liberal- democratico francese che animò la battaglia dell’Europarlamento per portare più donne al vertice della Banca centrale europea. In buona parte grazie a Goulard, Strasburgo un anno fa votò contro la nomina di Yves Mersch alla Bce perché sarebbe stato il 23esimo uomo su 23 nel consiglio direttivo dell’Eurotower. Un’altra donna, Angela Merkel, decise di imporre comunque Mersch. Ma oggi Goulard non demorde: «Non mancano figure femminili capaci di lavorare al vertice della Bce — dice — . Sarebbero positive per due motivi: le istituzioni hanno bisogno di diversità per poter compiere scelte più ponderate, e solo così riusciranno a rappresentare davvero la società per la quale operano».
In questo l’Europa e l’Italia hanno molto da imparare da Paesi ai quali amano impartire lezioni di buone maniere. La Russia di Vladimir Putin, il presidente che posa mentre cavalca virilmente a torso nudo, discrimina gli omosessuali eppure ha scelto una donna per guidare la sua banca centrale: Elvira Nabiullina, 49 anni, adesso ha un ruolo determinante anche nella gestione del G20. Anche altri Paesi emergenti hanno dimostrato più coraggio dell’Europa nel affidarsi alle donne nella gestione del potere monetario. Il Sudafrica ha chiamato Gill Marcus; il governo argentino si è affidato a Mercedes Marco del Pont, dopo aver defenestrato vari governatori uomini recalcitranti allo strapotere della «presidenta» Cristina Kirchner Fernandez; la Malesia sempre più musulmana e tradizionalista ha chiamato alla banca centrale una signora, Zeti Akhtar Azi; e Linah Mohohlo batte moneta in Botswana, un Paese che da anni batte l’Italia nelle classifiche globali della competitività.
In Europa siamo ancora lontani dal dimostrare il coraggio delle economie che si affacciano adesso al mondo. Nella Banca d’Italia per esempio mai una donna ha votato sui tassi d’interesse quando l’istituto aveva questo potere. In seguito, Anna Maria Tarantola e oggi Valeria Sannucci sono entrate nel direttorio. Una donna sarà invece il prossimo presidente dell’organismo che vigilerà le banche europee: le favorite sono la francese Danièle Nouy e la tedesca Sabine Lautenschlaeger.
Anche nel settore privato i progressi sono timidi. Antonella Mansi è diventata presidente della Fondazione Mps solo perché quattro o cinque candidati uomini si sono elisi a vicenda e comunque il posto non era ben pagato. Solo una banca di Londra come Barclays ha permesso a un’altra donna, Alessandra Perrazzelli, di salire al vertice di una struttura finanziaria in Italia facendola «country manager». Forse il segno più vero della parità si avrà il giorno in cui un banchiere donna non è schernito o lodato per il suo sesso, ma per il suo operato. Ma ora, dobbiamo limitarci a vederlo fare dal Botswana.