Pietro Senaldi, Libero 10/10/2013, 10 ottobre 2013
IL MINISTRO LIQUIDA I GIOVANI: «INOCCUPABILI»
Dopo sei mesi di attività (?) il governo ha trovato un degno sostituto della Fornero nel ruolo di gaffeur di punta e specialista in quei motti urticanti quanto inconcludenti che hanno come unico risultato rendere antipatico chi se ne riempie la bocca e umiliare chi ne è oggetto. Si tratta del ministro Giovannini - ahinoi anche lui titolare del dicastero del Lavoro - il quale commentando una ricerca Ocse che vede i nostri giovani rispettivamente all’ultimo e al penultimo posto in Europa in quanto a capacità di lettura/ scrittura e di conto ha concluso che «gli italiani sono inoccupabili in quanto non hanno le conoscenze per vivere nel mondo di oggi». «Ipse dixit», si potrebbe chiosare attingendo a una di quelle conoscenze inutili per vivere ma dal pomposo sapore accademico che la scuola e l’università italiane offrono in quantità. Già, perché con questa frase l’ex presidente dell’Istat si candida a entrare nel ristretto comitato scientifico dei ministri-professori-cacasenno che pensano di risolvere i problemi occupazionali dei giovani responsabilizzandoli attraverso l’insulto. Dai bamboccioni di Padoa Schioppa agli sfigati di Martone agli schizzinosi della Fornero, i nostri ragazzi vengono giudicati così da chi - magari da decenni - per lavoro si è occupato della loro formazione. Unica differenza, forse per evitare che qualcuno gli chiedesse una soluzione, Giovannini ha fatto retromarcia in giornata.
Ma il punto della questione che sfugge ai ministri ex cathedra non è se, di volta in volta, le loro considerazioni siano giuste o sbagliate, se meritino 18, 25 o 30 e lode. Il punto è che è inaccettabile che un prof quando diventa ministro continui a pensarsi esclusivamente come un’entità superiore giudicante e non dia mai l’impressione di cercare di contaminarsi con le sfaccettature e le complicazioni del vivere né di sforzarsi di trovare soluzioni che calzino alla realtà più di quanto possano fare le teorie da manuale. Sarà forse per questo che quasi sempre le riforme dei prof di governo (dal lavoro alle pensioni, Fornero docet) finiscono per creare più danni che benefici o, per dirla con le parole del ministro, si rivelano «prive delle conoscenze necessarie per vivere nel mondo di oggi». Se si torna ai dati Ocse (il cui risultato è peraltro inquinato dal fatto che si basano su quesiti multichoice a cui i nostri studenti non sono abituati anche perché i professori si rifiutano di fare i test Invalsi), il ministro senza lode Giovannini non può ritenere esaurito il proprio compito dando di fatto dei cretini ai ragazzi, salvo poi smentirlo.
Il ministro dovrebbe, in tandem con la collega Carrozza, spiegarci come intende cambiare la scuola in modo che chi si diplomi sia poi occupabile. In particolare: 1) perché se così il sistema non è competitivo continuiamo a utilizzare la scuola come grande ufficio di collocamento senza preoccuparci della qualità e della verifica del lavoro dei professori? Questo governo, come quasi tutti i precedenti, ha programmato l’assunzione in tre anni di 100mila tra prof e bidelli, di cui metà senza concorso. Non potremmo invece selezionare i professori anziché in base alla loro anzianità di precariato guardando alla loro qualità, che poi altro non è se non la capacità di insegnare qualcosa? 2) è d’accordo col ministro dell’Istruzione Carrozza - vicina di casa di Letta in quel di Pisa e sua coetanea, diventata prof di ruolo in un’università telematica -, la cui sola cosa degna di nota in questi sei mesi è l’affermazione «bocciamo solo in casi estremi»? Perché se lo è, dovrebbe poi spiegarci come può la scuola fare selezione e preparare al lavoro. 3) perché, attestato che la scuola pubblica non riesce a formare studenti all’altezza dei colleghi europei non si mettono le famiglie nelle condizioni di investire nell’istruzione dei figli con sgravi fiscali e aiuti seri a chi sceglie scuole e università private, visto che sono le uniche in grado di competere a livello internazionale? E visto che così si otterrebbe anche di snellire e rendere più efficiente e meno costoso il corpaccione dell’istruzione pubblica.
Siccome poi oltre a essere un prof, Giovannini è anche un esperto di sociologia, un fine economista e un luminare di statistica, potrebbe anche spiegarci come mai i giovani italiani sono “inoccupabili” solo nel loro Paese mentre quando vanno all’estero i loro problemi molto spesso svaniscono; e questo non solo per chi ha lauree e master. Forse perché è lo Stato italiano a non creare le condizioni perché nasca l’occupazione? Poiché infatti è un postulato che la scuola non prepara, ne consegue che la formazione del giovane sia a carico del datore di lavoro. Ma allora che senso hanno avuto la stretta sugli stage e i vincoli sui contratti a termine introdotti dal predecessore di Giovannini? E perché gli sgravi fiscali per chi assume un giovane sono legati solo ai contratti a tempo indeterminato?
Piuttosto che rispondere, Giovannini, si è detto, ha preferito smentire. «Non ho mai affermato che gli italiani sono poco occupabili ma solo che non hanno una formazione all’altezza degli altri Paesi Ue. Infatti per rimediare il governo ha deciso di costituire un tavolo che presto porterà idee e proposte». Ecco la prima dichiarazione da politico autentico del prof: anziché risolvere il problema lo nega, poi lo ridefinisce, lancia un serio allarme e annuncia un gruppo di lavoro per venirne a capo. Naturalmente un gruppo aperto a tutti, dai sindacati alle regioni ai ministri, in modo che nessuno sia specificamente responsabile di un eventuale fallimento. Perché, è la lezione del Sessantotto che sia i nostri prof che i nostri politici hanno ben imparato, le responsabilità non sono mai del singolo, ma sempre del sistema. D’altronde, quanto il ministro creda nel lavoro e nella possibilità che il suo tavolo abbia successo lo dice la sua proposta di assicurare a tutti un reddito minimo garantito, a prescindere dal fatto che abbiano un’occupazione. Magari finanziato coi soldi dei pensionati che hanno lavorato e a cui il governo ha negato l’aumento legato all’adeguamento al costo della vita.