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 2013  ottobre 10 Giovedì calendario

VENDITA DI IMMOBILI E TAGLI AI MINISTERI


Via libera del governo alla manovra economica da 1,6 miliardi per riportare il disavanzo 2013 entro la soglia del 3 per cento del Prodotto interno lordo. La copertura finanziaria sarà garantita da 500 milioni derivanti dalla vendita di immobili del demanio e da 1,1 miliardi di tagli ai ministeri e riduzione di trasferimenti agli enti locali. Sono saltati l’aumento dell’acconto Ires e Irap dal 101 al 103% per le imprese e il previsto aumento delle accise sulla benzina di 6,5 centesimi al litro.
Le misure approvate saranno sufficienti a correggere la percentuale di deficit solo se entro il 31 dicembre entreranno nelle casse dello Stato altri 2,4 miliardi di euro, tanto quanto vale il saldo Imu. Se quest’ultimo verrà abolito, come promesso dal governo, bisognerà compensare questa minore entrata con altre misure.
Ma la scelta annunciata ieri da Barack Obama, abbastanza scontata dopo che Larry Summers si era ritirato per le contestazioni alla sua candidatura, garantisce una certa stabilità almeno alla politica monetaria degli Stati Uniti. Un fatto importante nel momento in cui quella economica è in preda all’incendio di uno scontro violentissimo tra i repubblicani del Congresso e la Casa Bianca: un incendio che rischia di far precipitare l’America nel «default» per la prima volta nella storia.
Ormai vicini al punto di rottura — lo shut-down del governo già al decimo giorno, mentre tra una settimana si potrebbe arrivare all’insolvenza del Tesoro, se non verrà alzato il tetto del debito pubblico — ieri, all’improvviso, sono spuntati, e poi si sono moltiplicati, una serie di segnali che fanno pensare a un sussulto di senso di responsabilità da parte dei due fronti fin qui impegnati in un asfissiante muro contro muro.
Il repubblicano Paul Ryan è uscito per la prima volta allo scoperto con un articolo pubblicato dal Wall Street Journal nel quale l’ex candidato alla vicepresidenza propone di sbloccare la situazione con un negoziato sul riequilibrio dei conti pubblici basato su interventi di lungo periodo sul welfare , senza tagli immediati. Quando gli hanno fatto notare che nel suo articolo ha dimenticato di citare Obamacare , la riforma sanitaria del presidente sulla quale si sono fin qui concentrati tutti gli attacchi dei conservatori, Ryan ha minimizzato, ma la sensazione è che qualcosa si stia muovendo davvero: incontri a raffica tra leader democratici e repubblicani prima riservati, poi alla luce del sole. E oggi sarà lo stesso Obama a incontrare i leader della destra. Il terreno è sempre molto accidentato, ma sembrano esserci meno rigidità.
Più prudenza soprattutto da parte repubblicana dopo gli attacchi di influenti commentatori conservatori come John Podhoretz: «Questo è un suicidio della destra: io voglio quello che volete voi, ma se per andare avanti rompiamo il parabrezza dell’auto del partito repubblicano e nel serbatoio mettiamo antigelo al posto della benzina, sfasciamo tutto». C’è poi un segnale mandato agli ultraconservatori dei Tea Party dai fratelli Koch, i potenti industriali conservatori che sono i principali finanziatori della destra radicale.
In una lettera al Congresso la Koch si dice «neutrale» sulla scelta dei repubblicani di arrestare il flusso di finanziamenti al governo per bloccare Obamacare : «Restiamo contrari a quella riforma, ma non abbiamo preso alcuna posizione sulle tattiche legislative da adottare per privarla di risorse finanziarie». Potrebbe essere un segnale di parziale ritirata sulla sanità, ora che la riforma è ormai operativa, tale da consentire al leader repubblicano al Congresso John Boehner di negoziare con Obama senza più i Tea Party pronti a fucilarlo all’istante.
Anche se si eviterà il peggio, comunque, quello dell’America continuerà ad essere un governo a scartamento ridotto: Obama con le mani legate e il Parlamento semiparalizzato. Per questo è importante il segnale dato con la Yellen: un banchiere progressista che spaventa i repubblicani ma non i mercati che ieri hanno mostrato di apprezzare la scelta di Obama. Accademica cresciuta a Brooklyn e maturata in California, senza un passato nella finanza, l’attuale vice di Bernanke non sarà certo un’amica di Wall Street. Che, però, oggi è interessata soprattutto alle garanzie di continuità della politica monetaria “permissiva” praticata negli ultimi anni dalla Fed per sostenere l’economia. La Yellen comincerà di certo a chiudere i rubinetti, come già annunciato dallo stesso Bernanke, ma, viste le sue idee e la sua storia, lo farà in modo molto graduale, senza strappi.