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 2013  settembre 20 Venerdì calendario

L’UOMO CHE NON RICONOSCE LE PORTE DI CASA SUA

[Inchiesta/1 Alzheimer in Italia] –

Un milione di italiani come la pasticcera di Milano che non ricorda più il suo nome ma quando l’accompagnano dalla neurologa per il controllo farmaci semestrale porta una torta in regalo. Grazie signora, come l’ha fatta? E lei seria: «Che domande: con uova di gatto». Italiani come Benito di Cornaredo, che si sente perso, non riconosce più la sua casa e butta giù le porte: è stato rifiutato da 31 case di cura, la moglie per lo stress ha perso 9 chili in un mese. Milioni di storie così, emozionanti e drammatiche, sabato saranno ricordate in occasione della XX Giornata mondiale Alzheimer. Numeri da emergenza sociale: 36 milioni di malati di demenza nel mondo (in maggioranza sopra i 75 anni), cifra che quasi raddoppia ogni due decenni, nessuna possibilità di guarigione in vista. «Peccato che l’Italia non abbia un piano per le demenze», dice Marc Wortmann, direttore di Alzheimer Disease International (Adi). Peccato che i responsabili sanità dei principali partiti italiani, intervistati dal Corriere, credano che quel piano esista già. E che sia operativo. Magari migliorabile ma funzionante. UN MILIONE - Ha ragione Wortmann: l’Italia non ha un piano nazionale per le demenze come la Francia o la Sud Corea. Però ha un milione di italiani che vivono con la demenza, tre milioni di familiari che la affrontano ogni giorno, e operatori sul territorio che, pur tra molte difficoltà (e molte differenze regionali), lavorano per migliorare le loro vite. «È fondamentale che i Paesi riconoscano questa priorità e vadano incontro ai bisogni dei cittadini», dice Wortmann, che sabato mattina sarà a Milano per il convegno organizzato dalla Federazione Alzheimer Italia a Palazzo Marino. Dalla lunga discesa di queste malattie neurodegenerative (per ora) non si risale. Il presidente Barack Obama, lanciando anni fa il piano americano, ha stabilito l’impegno per finanziare la ricerca e trovare una soluzione farmacologica entro il 2025. Sul fronte della diagnosi c’è stato un notevole progresso. Sulla terapia no: il cocktail di farmaci per frenare i sintomi è lo stesso di 15 anni fa. Stefano Govoni, farmacologo dell’Università di Pavia, dice che i soldi investiti globalmente nella ricerca sul cancro sono 30 volte quelli per le demenze (il numero di malati «solo» il triplo). Questione (giustificata) di età e (purtroppo) anche di visibilità sociale. Non solo di soldi. IL PIANO - In Italia non sarebbe costato un euro realizzare il piano nazionale per le demenze che si è arenato due anni fa su un tavolo della conferenza Stato-Regioni. Siamo fermi al vecchio progetto Cronos datato 2000, con le sue 500 Uva (unità di valutazione Alzheimer) che navigano a vista. «Siamo stati i primi in Europa: le Uva erano un patrimonio e l’abbiamo dilapidato», dice al Corriere il professor Alessandro Padovani (direttore della clinica neurologica Spedali Civili di Brescia). «È una giostra: non c’è un modello, non ci sono criteri standard, non c’è controllo. Le Uva sono affidate alla buona o cattiva volontà dei singoli. E alla maggioranza dei direttori sanitari non gliene importa niente». A proposito di priorità. «Stiamo affrontando il problema come un’armata brancaleone - dice Nicola Vanacore dell’Istituto Superiore di Sanità - sottostimando anche il tema della prevenzione che invece è cruciale». Sul territorio si incontrano realtà positive in un panorama spesso desolante, come documenta l’inchiesta del Corriere che partirà la settimana prossima: un viaggio a tappe nell’Italia delle demenze. I POLITICI - Perché non è vero che non c’è niente da fare (oltre che trovare una buona badante e mettersi in lista d’attesa, chi se lo può permettere, per un posto in casa di riposo). Perché questa è una priorità sociale (andare in Olanda per credere). L’Italia spende già per le demenze 8 miliardi di euro all’anno, in gran parte a carico delle famiglie. È una priorità razionalizzare i costi, diffondere le buone pratiche e creare una rete diffusa di servizi che coinvolga i medici di base. È priorità mettere a punto quel piano nazionale che ancora non c’è, piano fantasma su cui i referenti del settore sanità dei principali partiti si esprimono così: «Smantellarlo sarebbe un delitto» (Luigi D’Ambrosio Lettieri, Pdl). «È coerente con gli obiettivi di salute pubblica» (Catiuscia Marini, Pd). «Ormai è da rivedere» (Serenella Fuksia, Movimento 5 Stelle). «Giudicarlo insufficiente sarebbe ingeneroso» (Pierpaolo Vargiu, Scelta civica). «Piano assolutamente migliorabile, ma valido» (Fabio Rizzi, Lega Nord). Peccato che non c’è.]
Neuroscienze
25
Morbo di Alzheimer
5
Salute
62

NASCONDI

Un milione di italiani come la pasticcera di Milano che non ricorda più il suo nome ma quando l’accompagnano dalla neurologa per il controllo farmaci semestrale porta una torta in regalo. Grazie signora, come l’ha fatta? E lei seria: «Che domande: con uova di gatto». Italiani come Benito di Cornaredo, che si sente perso, non riconosce più la sua casa e butta giù le porte: è stato rifiutato da 31 case di cura, la moglie per lo stress ha perso 9 chili in un mese. Milioni di storie così, emozionanti e drammatiche, sabato saranno ricordate in occasione della XX Giornata mondiale Alzheimer. Numeri da emergenza sociale: 36 milioni di malati di demenza nel mondo (in maggioranza sopra i 75 anni), cifra che quasi raddoppia ogni due decenni, nessuna possibilità di guarigione in vista. «Peccato che l’Italia non abbia un piano per le demenze», dice Marc Wortmann, direttore di Alzheimer Disease International (Adi). Peccato che i responsabili sanità dei principali partiti italiani, intervistati dal Corriere, credano che quel piano esista già. E che sia operativo. Magari migliorabile ma funzionante.

UN MILIONE - Ha ragione Wortmann: l’Italia non ha un piano nazionale per le demenze come la Francia o la Sud Corea. Però ha un milione di italiani che vivono con la demenza, tre milioni di familiari che la affrontano ogni giorno, e operatori sul territorio che, pur tra molte difficoltà (e molte differenze regionali), lavorano per migliorare le loro vite. «È fondamentale che i Paesi riconoscano questa priorità e vadano incontro ai bisogni dei cittadini», dice Wortmann, che sabato mattina sarà a Milano per il convegno organizzato dalla Federazione Alzheimer Italia a Palazzo Marino. Dalla lunga discesa di queste malattie neurodegenerative (per ora) non si risale. Il presidente Barack Obama, lanciando anni fa il piano americano, ha stabilito l’impegno per finanziare la ricerca e trovare una soluzione farmacologica entro il 2025. Sul fronte della diagnosi c’è stato un notevole progresso. Sulla terapia no: il cocktail di farmaci per frenare i sintomi è lo stesso di 15 anni fa. Stefano Govoni, farmacologo dell’Università di Pavia, dice che i soldi investiti globalmente nella ricerca sul cancro sono 30 volte quelli per le demenze (il numero di malati «solo» il triplo). Questione (giustificata) di età e (purtroppo) anche di visibilità sociale. Non solo di soldi.

IL PIANO - In Italia non sarebbe costato un euro realizzare il piano nazionale per le demenze che si è arenato due anni fa su un tavolo della conferenza Stato-Regioni. Siamo fermi al vecchio progetto Cronos datato 2000, con le sue 500 Uva (unità di valutazione Alzheimer) che navigano a vista. «Siamo stati i primi in Europa: le Uva erano un patrimonio e l’abbiamo dilapidato», dice al Corriere il professor Alessandro Padovani (direttore della clinica neurologica Spedali Civili di Brescia). «È una giostra: non c’è un modello, non ci sono criteri standard, non c’è controllo. Le Uva sono affidate alla buona o cattiva volontà dei singoli. E alla maggioranza dei direttori sanitari non gliene importa niente». A proposito di priorità. «Stiamo affrontando il problema come un’armata brancaleone - dice Nicola Vanacore dell’Istituto Superiore di Sanità - sottostimando anche il tema della prevenzione che invece è cruciale». Sul territorio si incontrano realtà positive in un panorama spesso desolante, come documenta l’inchiesta del Corriere che partirà la settimana prossima: un viaggio a tappe nell’Italia delle demenze.

I POLITICI - Perché non è vero che non c’è niente da fare (oltre che trovare una buona badante e mettersi in lista d’attesa, chi se lo può permettere, per un posto in casa di riposo). Perché questa è una priorità sociale (andare in Olanda per credere). L’Italia spende già per le demenze 8 miliardi di euro all’anno, in gran parte a carico delle famiglie. È una priorità razionalizzare i costi, diffondere le buone pratiche e creare una rete diffusa di servizi che coinvolga i medici di base. È priorità mettere a punto quel piano nazionale che ancora non c’è, piano fantasma su cui i referenti del settore sanità dei principali partiti si esprimono così: «Smantellarlo sarebbe un delitto» (Luigi D’Ambrosio Lettieri, Pdl). «È coerente con gli obiettivi di salute pubblica» (Catiuscia Marini, Pd). «Ormai è da rivedere» (Serenella Fuksia, Movimento 5 Stelle). «Giudicarlo insufficiente sarebbe ingeneroso» (Pierpaolo Vargiu, Scelta civica). «Piano assolutamente migliorabile, ma valido» (Fabio Rizzi, Lega Nord). Peccato che non c’è.