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 2013  ottobre 10 Giovedì calendario

L’IMPOSSIBILE RISALITA DI ALEMANNO

Quando l’altroieri ha scritto la sua lettera a Silvio Berlusconi e Angelino Alfano per annunciare che lasciava il Pdl nessuno ha battuto ciglio. Nemmeno un’accusa di ricevuta. Presidente e segretario di quel che fu il partito delle libertà hanno altro da pensare in questi giorni che preoccuparsi delle scelte dell’ex sindaco di Roma e del resto i rapporti si erano incrinati già da tempo. Almeno da quando, ben prima della ricandidatura di Alemanno a primo cittadino della capitale, il Cavaliere si era convinto che urgeva trovare un altro cavallo.

Alemanno non ne aveva azzeccata una e i sondaggi che lo riguardavano erano disastrosi: la sicurezza tradita, il rimpasto di giunta accompagnato da polemiche feroci, la città messa in ginocchio da neve e nubifragi di cui il sindaco aveva accusato chiunque tranne se stesso, parenti e amici assunti nelle municipalizzate, stretti collaboratori inquisiti per reati anche molto seri.

A nulla erano serviti i tentativi nazional-popolari del sindaco, dai blitz nelle periferie vestito da giustiziere della notte con giubbotto di pelle e motocicletta alle minacce di mettersi alla guida delle manifestazioni contro le discariche a Ponte Galeria.

Nella sequela di avvenimenti Alemanno era riuscito a dire e fare solo cose sbagliate: ce n’era abbastanza perché Berlusconi abbandonasse il candidato resistente al suo destino. Unica concessione: una veloce e infelice comparsa alla manifestazione elettorale di chiusura davanti a un Colosseo semideserto.
Com’è andata a finire è noto: Alemanno ha straperso il ballottaggio contro Ignazio Marino: 36 per cento contro 63,9, un risultato eccezionalmente negativo per un sindaco uscente, il segno inequivocabile della porta sbattuta in faccia dagli elettori.

Ma neanche allora Alemanno si è dato per vinto. Anzi, ha accentuato il suo protagonismo nell’ambito del suo campo da gioco, la destra, chiedendo il congresso, criticando Alfano per il triplo incarico da segretario, vicepremier e ministro, infine annunciando l’intenzione di “rifare la destra” nel caso in cui Berlusconi avesse deciso di tornare a Forza Italia.

Tanto agitarsi in realtà non ha mai prodotto esiti rilevanti, se non un inevitabile avvicinamento a quei Fratelli d’Italia di Ignazio La Russa e Giorgia Meloni, sua mancata concorrente nella corsa al Campidoglio.

Alla fine di un’estate travagliata, finalmente la decisione: «Promuovere una nuova grande alleanza nazionale e popolare che metta al primo posto l’Italia e gli italiani». Ieri il primo atto, la partecipazione all’Officina per l’Italia (con reduci vari, tra cui Landolfi, Urso, Giuseppe Cossiga, Giulio Terzi Santagata, ospite Giulio Tremonti); domenica il secondo appuntamento al cinema Adriano per il lancio del movimento “Prima l’Italia”.

Il caso o la sfortuna o il normale corso della giustizia hanno voluto che lo stesso giorno della nuova “officina” la procura di Roma raggiungesse l’ex sindaco con l’accusa di finanziamento illecito nell’ambito dell’inchiesta sull’acquisto di 45 filobus per il “corridoio Laurentina”, quella che a giugno scorso ha travolto l’ex amministratore delegato dell’ente Eur, Riccardo Mancini, legatissimo ad Alemanno. Per lo stesso reato è indagato anche l’ex presidente di Finmeccanica, Pierfrancesco Guarguaglini.

Alemanno si è detto sereno e fiducioso nella magistratura. Almeno stavolta non se la prende con qualcun altro. Uno stupefacente segno di discontinuità?