Alberto Crespi, l’Unità 9/10/2013, 9 ottobre 2013
LA FIAMMA DI CHÉREAU
PATRICE CHÉREAU, FRANCESE DELLA LOIRA (ERA NATO A LÉZIGNÉ IL 2 NOVEMBRE 1944), RAMPOLLO DI UNA FAMIGLIA DI PITTORI, AVEVA MOLTA ITALIA NEL SUO CURRICULUM E NEL suo CUORE. Entrato alla scuola del Piccolo Teatro a 25 anni, nel 1969 (Maria Grazia Gregori, che lo ricorda qui accanto, fu sua insegnante), considerava Giorgio Strehler il proprio maestro e anche nel cinema non era certo lontano dalla lezione di Visconti, di Pasolini, di Bertolucci. Se n’è andato a 68 anni, per colpa di un tumore ai polmoni che non gli ha impedito di lavorare sino a poche ore prima della fine. Arrivata presto, troppo presto. L’Italia e la Francia, unite, piangono un grande artista.
A pensarci bene c’era qualcosa di profondamente italiano anche in La regina Margot, il suo film più famoso. Virna Lisi interpretava Caterina de’ Medici, bisnipote di Lorenzo il Magnifico e moglie di re Enrico II, grande tessitrice di trame di corte e personaggio centrale nella strage degli Ugonotti avvenuta nella notte di San Bartolomeo del 1572. Chéreau sfidava addirittura Griffith (la strage è uno degli episodi del capolavoro Intolerance) e faceva propria la lezione di Visconti e dei grandi pittori del Rinascimento italiano. Il film non era «solo» un kolossal, anche se il cinema francese (dandogli l’apertura di Cannes, dove vinse due premi) lo lanciò come tale: come minimo era un kolossal con l’anima, andrebbe rivisto e rivalutato. Chéreau firmò altri film importanti, a cominciare da Intimacy che nel 2001 vinse l’Orso d’oro a Berlino e provocò impegnativi paragoni con Ultimo tango a Parigi. Forse il più personale era L’homme blessé del 1983, forte storia d’amore omosessuale con Jean-Hugues Anglade e il nostro Vittorio Mezzogiorno. Noi lo ricordiamo anche ottimo attore nel ruolo del generale francese Montcalm nel magnifico western L’ultimo dei mohicani, esperienza che lui però liquidava con un sorriso: il cinema hollywoodiano in generale, e lo stile nerboruto di Michael Mann in particolare erano probabilmente distanti dal suo gusto.
Ma Patrice Chéreau è stato soprattutto un grande regista di teatro, uno dei più importanti a cavallo tra XX e XXI secolo. Era diventato direttore artistico (del Théatre de Sartrouville) a soli 22 anni, a già a 21 aveva firmato regie di Marivaux (autore che adorava) e Labiche. Successivamente si cimentò con Shakespeare, Marlowe, Molière. Una delle esperienze più importanti della sua carriera si svolse dal 1976 al 1980 a Bayreuth: Pierre Boulez lo chiamò per mettere in scena la Tetralogia dei Nibelunghi, che Chéreau ambientò nell’Ottocento rendendola una potentissima metafora della nascita del capitalismo. Fu una regia controversa, che fece epoca. Dal 1992 al 2000 diresse il Théatre des Amandiers a Nanterre, dove firmò allestimenti memorabili di Genet e di Koltès. Nel campo dell’opera, va ricordato un altro Wagner, un Tristano e Isotta alla Scala (nel 2007) con la direzione di Barenboim.
Stava preparando Come vi piace di Shakespeare all’Odéon di Parigi e un film intitolato Des hommes. Era tutt’altro che finita, la ricerca di Chéreau. La sua scomparsa lascia a metà un’opera di straordinario spessore.