Tommaso Lorenzini, Libero 9/10/2013, 9 ottobre 2013
ANTONELLO DA MESSINA – IL MAESTRO RINASCIMENTALE CHE INVENTÒ L’ARTE MODERNA
Due grandi mostre a distanza di sette anni e scoprire che non solo non si doppiano, ma che anzi raggiungono un’ideale complementarità, rappresentano il miglior biglietto da visita per tratteggiare l’importanza di Antonello da Messina. Dopo l’esposizione di Roma del 2006, in cui il genio siciliano era solitario e totale protagonista, ecco che il Mart di Rovereto propone un’originalissima rilettura della sua attività,a partire dai rapporti con i pittori a lui contemporanei per offrirci un Antonello autentico ponte fra culture, movimenti artistici e quotidiana umanità. Un corpus di 35 opere che vanno da Colantonio, maestro di Antonello a Napoli, fino a Van Eyck, con 18-20 tavole del messinese tra cui tre importanti prestiti assenti nella rassegna romana: il Salvator Mundi della National Gallery di Londra, la Madonna Benson della National Gallery di Washington e il Ritratto d’uomo appena restaurato del Philadelphia Museum of Art.
Antonello, forse il primo a far conoscere ai colleghi italiani, che dipingevano ancora a tempera, le nuove possibilità date dal colore ad olio inventato nelle Fiandre, fortifica qui la sua immagine di “spugna” e sapiente osservatore, capace di muoversi e svettare dentro uno straordinario crogiuolo di relazioni, che vanno dalla pittura fiamminga, passando per gli influssi spagnoli (valenciani e borgognoni) incontrati nella Napoli di Renato d’Angiò sino all’incontro con la rivoluzionaria visione introdotta da Piero della Francesca.
Non a caso a curare la mostra troviamo insieme al “longhiano” Federico De Melis un entusiasta Ferdinando Bologna, uno degli ultimi giganti della storia dell’arte italiana, che in catalogo, anziché del consueto saggio, regala una lunga intervista dal titolo inequivocabile: “Antonello e gli altri”.
Bologna, 88 anni compiuti da poco, sentito da Libero esclama come «questo appuntamento sia per me un punto di arrivo dal 1950, anno in cui ho iniziato ad occuparmi di Antonello, un artista al top e considerato come gli spetta». Figura complessa ma linearissima nel suo percorso, il siciliano è stato «un personaggio chiave del rinascimento europeo, il collegamento indispensabile fra il Nord, le ricerche fiamminghe e il Rinascimento italiano; quello napoletano, quello fiorentino ma soprattutto aretino, come testimonia l’incontro con Piero». Una lezione che prende vita magistralmente in episodi come la Crocifissione di Sibiu, la cui tensione formale è arricchita dalla veduta paesaggistica della Messina dell’epoca, la sua Messina: porto, città ed elementi naturali riconoscibili perfino oggi, con la “libertà” presasi dall’artista nel dipingere le isole Eolie però invisibili da quel preciso punto d’osservazione.
Decisivo nell’introdurre un nuovo concetto di ritratto (e la parallela mostra offerta dal Mart L’altro ritratto, a cura del filosofo francese Jean-Luc Nancy fa da ottimo contrappunto), Bologna avverte però che «Antonello non va considerato come fotografo d’antan, e non limitiamo la sua figura a quella del ritrattista di persone perché era semplicemente ritrattista di tutto».
Clamorosamente innovativa, infatti, è l’interpretazione dell’Annunciata di Palermo. Qui Antonello stravolge l’impostazione classica mettendo lo spettatore al posto dell’angelo e condensando la scena sacra nella sola figura della Vergine, catturandone inediti aspetti intimistici e psicologici, la sorpresa indicata dalla mano destra leggermente alzata e l’iniziale timore magistralmente visualizzato con la mano sinistra che stringe il velo. Cristiana Collu, direttrice del Mart, spiega come l’Annunciata sia un dipinto privo di tempo, «rappresenta un’icona, è un volto inafferrabile, nel quale troviamo un lato ignoto di noi stessi».
Il Cristo alla colonna del Louvre costituisce forse il punto di arrivo delle meditazioni di Antonello sul tema dell’impatto visivo dei volti. Se in quegli anni si atteneva comunque all’iconografia ortodossa per episodi come il San Sebastiano di Dresda, nel Cristo alla colonna Antonello opta per un’altrettanto originale scelta, quella di un drammatico primo piano sul viso di Gesù nei terribili momenti della flagellazione, un punto di vista ravvicinato che proietta l’osservatore in una condizione di empatia con il Salvatore.
Caravaggio gli dovrà molto, «soprattutto il giovane Merisi, nella purezza formale e nella tensione realizzante », aggiunge Bologna. Stabilire però il primato di un’opera di Antonello piuttosto che di un’altra, oppure classificare opere miliari indispensabili per comprenderlo, sarebbe fuorviante: «I suoi lavori sono tutte opere guida» sottolinea Bologna «indici di un processo di evoluzione e maturazione incalzante, che investirà anche la pittura veneziana». Non a caso è ormai accertato che Antonello ha avuto importanti scambi intellettuali con Giovanni Bellini, presente a Rovereto con la Madonna Contarini dove sono evidenti gli influssi sulle aperture paesistiche. «È indispensabile partire dall’inizio per seguire gli sviluppi, impossibile fare altro», avverte Bologna, che invita a riflettere come «esporre Antonello al Mart, un museo d’arte contemporanea, sia scelta azzeccatissima. È una casa ideale, per la palese ricerca di continuità fra antico e moderno ». Un’operazione che lo stesso Antonello e i suoi contemporanei avrebbero non solo capito e apprezzato, ma certamente promosso, in linea con quei fermenti di attualità ancora vivissima che animavano la loro arte.