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 2013  ottobre 09 Mercoledì calendario

LA COLT 45 DEL PARTIGIANO JOHNNY


IL CASO
Le ha ritrovate la figlia Margherita mettendo in ordine un vecchio armadio nella casa di sua madre, Luciana, morta nel novembre scorso. Sono una carabina Winchester M1 e una Colt 45 auto, sono le armi del Partigiano Johnny, ma anche quelle di Milton, il protagonista di Una questione privata. Il Partigiano Johnny e Una questione privata, due dei grandi romanzi di Beppe Fenoglio, senz’altro il più grande scrittore della nostra Resistenza.
Ma forse dire ritrovate non è esatto. «Sapevamo dell’esistenza di quelle due armi - dice Giulio Parusso, direttore del Centro Studi Beppe Fenoglio, inaugurato proprio il 18 febbraio di quest’anno, cinquantesimo anniversario della morte dello scrittore. La figlia Margherita ha notato (e come poteva non farlo?) la coincidenza con l’anniversario della morte di suo padre e, compiute le pratiche necessarie, ha deciso di donare la carabina e la pistola al Centro dedicato alla vita e alle opere di Fenoglio. «Le ho trovate - ha raccontato - in fondo a un armadio, sotto delle lenzuola, avvolte in un pezzo di stoffa azzurra. Quando le ho viste mi sono emozionata moltissimo. E’ incredibile che questo sia successo nel cinquantenario della morte di mio padre». Un pezzo di stoffa azzurra, non può essere certamente casuale, l’azzurro era non solo il colore dei Savoia ma anche quello delle Brigate partigiane autonome, i cui membri erano chiamati, appunto, "gli azzurri", per distinguerli dai rossi garibaldini comunisti e dai verdi del Partito d’Azione.

UN SOGNO
Una carabina M1 calibro 30 e una Colt 45. Due armi che sono importanti sia dal punto di vista letterario: usate dall’autore e rese in qualche modo protagoniste di un suo romanzo, ma anche da punto di vista storico. Armi simili per molti partigiani erano un sogno, armati com’erano di vecchi fucili 91 recuperati nei depositi del Regio esercito all’indomani del suo sfaldamento l’8 settembre 1943, o di qualche Mauser o Maschinenpistole, preda di guerra presa ai tedeschi. Armi come quelle di Fenoglio venivano paracadutate, assieme ai mitra Sten inglesi, dagli Alleati e averne due simili era un vero e proprio status symbol e, insieme, una dichiarazione di appartenenza. I lanci, infatti, andavano nella maggioranza a vantaggio delle formazioni non comuniste. E, appunto, Beppe Fenoglio, dopo una breve appartenenza ai partigiani rossi, era passato agli azzurri, quelli fedeli in qualche modo al re, che regnava senza governare nella parte d’Italia occupata dagli Alleati. L’M1 è una carabina leggera, precisa, facile da usare, adatta alla guerriglia, così come la Colt 45, con il suo immenso potere d’arresto, rappresentava l’ultima risorsa per chi si fosse trovato a dover sostenere un combattimento ravvicinato. Armi ambite, dicevamo, come racconta lo stesso Fenoglio in Una questione privata, quando il suo protagonista, Milton, si imbatte in due partigiani comunisti che rimangono affascinati, vedicaso, dalle sue armi. La carabina e l’automatica.

LA PROLUNGA
I vecchi compagni della Resistenza e quelli del Centro - museo a lui dedicato - sapevano che Beppe Fenoglio, contrariamente a quello che stabilivano i bandi dell’immediato dopoguerra, che invitavano i partigiani a consegnare le armi, le aveva volute tenere. Una cosa comune del resto. Le armi le avevano tenute i comunisti, in previsione di una seconda ondata che avrebbe instaurato la repubblica popolare in Italia, o semplicemente perché non c’era poi tanto da fidarsi degli Alleati, dei monarchici e dei democristiani, chissà. Ma non è certo perché pensasse di usarle di nuovo che il cantore della Resistenza nelle Langhe, dei quaranta gloriosi giorni della repubblica partigiana della città di Alba, aveva voluto conservare le sue due compagne di quella lotta che lui, soldato fuggiasco dell’8 settembre, aveva iniziato nel gennaio del 1944 e terminato nell’aprile dell’anno dopo. No, Fenoglio, da combattente, forse attribuiva alle armi un significato simile a quello che avevano loro assegnato i guerrieri antichi, quando le spade avevano un nome. Una specie di proiezione di sé, una "prolunga" che magari ti aveva salvato la vita in condizioni difficili. E anche un segno di appartenenza a quella brigata partigiana che aveva come capo supremo Enrico Martini "Mauri", uno dei grandi capi della Resistenza. Una figura mitica, combattente decorato e promosso in Africa, poi difensore di Roma e, infine, mitico capo delle divisioni Alpine partigiane. Uomo duro, idolatrato dai suoi, ma anche un grande organizzatore, un maestro della guerriglia.
Ora quelle due armi, testimoni di tanti eventi storici e quasi protagoniste di alcuni grandi romanzi, saranno esposte al Centro Studi Beppe Fenoglio di Alba la sua città natale, la città cantata nei suoi romanzi.
Marco Guidi