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 2013  ottobre 09 Mercoledì calendario

PERISCOPIO


La crisi del Corriere è una crisi di capitali e una crisi di cultura. Il patto di sindacato ha sempre pensato di poter controllare il giornale con pochi soldi. Gli errori di gestione compiuti, assieme alla crisi globale, hanno lasciato però in braghe di tela i membri dello stesso patto. È finita l’epoca delle nozze con i fichi secchi. Guido Roberto Vitale, banchiere d’affari. Il Foglio.

Vittorio Gassman: «Via col vanto». Marcello Marchesi: «Il Dottor Divago». Bompiani.

La Bce, un organismo sostanzialmente monocratico, in una notte ha preso decisioni fondamentali per contrastare la crisi su temi che erano stati al centro di 28 vertici dei capi di governo, 28 sedute preparatorie, 28 conferenze stampa e 28 annunci. Già una volta l’Europa era morta chiudendo gli occhi su Sarajevo e Srebrenica quando non fu in grado di prendere una decisione di fronte alla guerra che dilaniava i Balcani. Enrico Letta. Corsera.

Anch’io, come te, appartengo alle due generazioni che si sono sciacquate la bocca con l’antifascismo, i valori della Resistenza, Bella ciao, e il Radioso Avvenire e hanno da mostrare come risultato l’Italia della mafia e della corruzione. Ho fatto in tempo a fare le assemblee studentesche al liceo Parini e alla Statale di via Festa del Perdono, a invocare l’alleanza fra «lavoratori e studenti». E a compiere, come tanti della mia generazione, il tragitto dei moderni «cavalieri erranti» partiti dagli slogan rivoluzionari e arrivati al posto di lavoro sotto le sottane accoglienti di quel grande capitale che volevamo combattere. Nel 1967 e ’68 marciavo in piazza Duomo fra le cariche della Celere. Nel 1970 già lavoravo alla Stampa di Torino. Guglielmo e Vittorio Zucconi: «La scommessa - Cento ragioni per amare l’Italia». Rizzoli.

Il principale errore di Berlusconi è di aver appiattito la questione giustizia sui suoi problemi. Lo capisco, però lui è un politico, dovrebbe, anzi doveva andare oltre. Ha promesso il cambiamento e il cambiamento non è arrivato. Piero Ostellino, già direttore del Corsera. Il Giornale.

Anche se Renzi è lì a battersi contro quelle mummie, lui per primo sa che comunque, per poter fare delle cose, occorre poter essere messi nelle condizioni di farle. E se penso che a Palazzo Chigi sono riusciti a far restare bloccato anche uno come Berlusconi... Flavio Briatore. Corsera.

Berlusconi ha un difetto: è troppo buono, e pensa che tutti lo siano come lui. Sarà che sta bene con tutti. È un tipo da spiaggia e da riviera. Alfredo, ex maggiordomo di Berlusconi. Il fatto quotidiano.

Sono stato nel partito comunista dal 1945 al 1958. Ho diretto cinque sezioni romane, l’ultima in borgata. Il segretario della federazione, Otello Nannuzzi, che aveva preso il posto di Aldo Natoli, mi disse: «Luca, hai diretto solo sezioni borghesi, ti manca la classe operaia. E andai al Prenestino, dove rimasi un paio d’anni. Non ho mai pensato di fare una vera carriera politica, per mancanza di vocazione al compromesso. Poi nel 1958 (c’erano stati i fatti di Ungheria) fui radiato dal partito. Buttarono fuori anche, tra i pittori, Vespignani e Attardi. Venimmo accusati di revisionismo senza princìpi. Io, nel frattempo, mi ero iscritto all’università. E, alla fine, mi laureai con una laurea su Lucrezio con il terribile Ettore Paratore. Mi diede 110. Commentò, in seguito, che non poteva dare la lode a un comunista. Luca Canali, latinista. Repubblica.

Siccome il popolo non ha più fiducia nei suoi rappresentanti, questi ultimi vorrebbero cambiare il popolo a colpi di riforme «societali». E ciò ha contribuito ad aumentare ciò che si definisce allora il «populismo» (il nome che loro attribuiscono al cattivo popolo), a destra come a sinistra. E tuttavia si può anche analizzare positivamente questa situazione: per la prima volta dopo la Rivoluzione francese, nessuna utopia, nessuna ideologia riesce a mascherare e a compensare il disastro del presente, e il conformismo permissivo che vieta tutto, entra in crisi. Potrebbe essere che l’islam politico duri meno tempo di quanto si prevede e che i paesi emergenti contestino prima di quanto ci si attende, il consumerismo. Chi avrebbe previsto che i brasiliani contestassero il mercantilismo della Fifa e della Coppa del mondo di calcio? Jean-Luca Marion, filosofo, specialista di Cartesio, insegna all’università di Chicago. Le Figaro.

Ho cenato nel 1944 in casa Belgioioso con don Carlo Gnocchi che da vicino non è certo inferiore a quanto ci si può aspettare sentendolo dal pulpito. Larghezza di idee, signorilità. Si è parlato della guerra e dei molti amici comuni, specialmente di Beppe Novello, che era con lui alla «Tridentina» in Russia. Erano legatissimi, il pittore arguto e ateo e il religioso ardente. «Beppo è un grande artista, ha detto: ma l’uomo e il carattere, in lui, sono ancora superiori». La conversazione, lanciatissima, ha fatto perdere a don Carlo la nozione del tempo: subito dopo la benedizione, alle venti, era atteso in chiesa per la predica. Arrivano staffette impazienti, e finalmente il parroco: «Ma don Carlo, santo cielo, c’è la chiesa strapiena, nervosissimi». Sono certo che Carlo Gnocchi è chiamato a ruolo dominante in questa sciagurata nazione, nei prossimi anni. Paolo Caccia Dominioni: «Alpino alla macchia», Gallotti Editori in Milano, 1977.

I fratelli di Lucienne Boyer gli avevano detto che sarebbe finita in un casino se si fosse avventurata in questi luoghi di perdizione e la sua migliore amica aveva stracciato il biglietto da visita di un produttore che gli dava appuntamento al «Gatto nero» a mezzanotte per un’audizione. Era prima della guerra, le giovani ragazze sono molto cambiate da allora. Sono esse, adesso, che invitano i produttori a seguirle e sono loro che finiscono in prigione, rovinati. Paul Sevran. «Toutes les bonheurs sont provisoires». Editions J’ai lu.

Stasera vado a letto presto che domani devo svegliarmi tardi. Ercole Patti.

Alle 21, sciopero contro il terremoto. Marcello Marchesi.

Oggi ho lasciato la mia famiglia perché ero stanco di sentirmi solo. Ennio Flaiano.

Il malato immaginario è un malato che precorre i tempi. Roberto Gervaso. Il Messaggero.