Federico Fubini, la Repubblica 09/10/2013, 9 ottobre 2013
STRATEGIA ANTI-DEBITO A RISCHIO IN BILICO LE STIME SU TASSI E CRESCITA
ROMA — Forse perché i decibel della politica sono così alti, di recente una piccola novità è passata sotto silenzio. Per la prima volta, in settembre, il governo ha cambiato il modo in cui calcola un valore determinante per l’Italia: il debito pubblico e il peso degli interessi, che nel 2013 hanno assorbito 84 miliardi o 1.400 euro per ogni abitante.
A prima vista si tratta di poco più che un dettaglio. Il Tesoro non formula più come prima la stima dei tassi d’interesse che pagherà in futuro. Fino al Documento di economia e finanza (Def) pubblicato la primavera scorsa, il ministero dell’Economia prevedeva gli oneri legati ai titoli di Stato accettando le previsioni del mercato: prendeva le stime degli investitori sui tassi d’interesse fra uno, due o cinque anni e su quelle fondava il quadro di finanza pubblica a venire.
Questa volta no. Fabrizio Saccomanni ha deciso di usare una stima più bassa, dunque favorevole al governo. Le motivazioni del ministro peraltro sono accettate anche a Bruxelles: se fossero credibili le attese del mercato, che non vedono alcun calo dello spread fra Btp e Bund tedeschi da oggi al 2017, allora l’Europa sarebbe spalle al muro. Vorrebbe dire che l’area euro è incapace di affrontare la sua crisi. Saccomanni parte dal principio che non sia così, dunque basa le previsioni sui conti immaginando che lo spread già nel 2016 sarà a soli 100 punti-base. Non a 250 punti come invece pensano gli investitori, peraltro i soli che avranno potere di decidere su questo punto.
Non è un dettaglio da poco. Se il mercato alla fine avrà ragione, tornerà in alto mare parte del piano per mettere il debito in sicurezza. Eppure, che sia corretta o meno, quella decisione del Tesoro ha il merito di sottolineare implicitamente che la Legge di stabilità in arrivo serve a qualcosa di cui la politica parla poco: deve fermare l’aumento del debito prima che diventi insostenibile.
Non è un obiettivo scontato, anche perché finora le cose non sono andate come dovevano. Alla fine di quest’anno il debito viaggerà ben tredici punti sopra al livello di due anni fa (quattro punti, in realtà, sono dovuti al versamento della quota italiana al fondo salvataggi Ue). E le previsioni sul debito dei vari governi recenti non si sono mai avverate: secondo il programma presentato a Bruxelles nel 2012, oggi il debito avrebbe dovuto essere al 121,5% del Pil; invece sfiora il 133%.
Il punto dunque è capire se le attuali previsioni avranno più fortuna delle precedenti, tutte affondate dal crollo del Pil. Se anche queste finiranno in modo simile, il debito continuerebbe a salire: l’Fmi mostra che, qualora il peggioramento proseguisse ai ritmi degli ultimi anni, nel 2016 il debito sarebbe al 140% del Pil e nel 2018 sarebbe al 150%. Gli investitori e l’Europa inizierebbero a pensare che l’Italia non può far fronte ai suoi impegni, dunque i tassi salirebbero ancora in una spirale che si autoalimenta.
Il governo intende evitare scenari del genere e prevede che il debito scenderà al 120% entro il 2017. Questo programma si fonda su tre pilastri. Il primo è appunto il calo (auspicato) dei tassi, con uno spread a 100 punti anziché a 250. Il secondo e il terzo pilastro invece sono un ritorno alla crescita, che alzerebbe la base del Pil su cui si misura il debito, e un forte aumento dell’attivo nei conti pubblici prima di pagare gli interessi sui titoli
di Stato. Dopo un crollo del 9% dal 2009, il Pil tornebbe a salire dell’1% l’anno prossimo e accelererebbe all’1,9% nel 2017. Una volta calcolata l’inflazione, ciò aggiunge 222 miliardi di euro al Pil sul quale si misura il debito. L’Italia sarebbe quasi fuori pericolo.
Ma è credibile? Secondo il governo sì, perché le riforme fatte e quelle a venire permetteranno all’Italia di crescere più di prima. Non tutti però sono convinti. Nel suo ultimo rapporto sull’Italia l’Fmi mostra una stima di crescita «potenziale» vicina a zero, quasi negativa. E anche il terzo pilastro del piano del governo è in contrasto con lo scenario di una ripresa vivace, perché implica ancora più rigore di bilancio. Il surplus sui conti prima degli interessi deve aumentare di 45 miliardi in quattro anni. Poiché le tasse non possono più salire, questi risparmi vanno trovati con tagli di spesa. Sarà come invertire il senso di marcia di una portaerei perché per ora la spesa - sempre prima degli interessi - secondo il Tesoro sta salendo di 38 miliardi da qui al 2017.
Dunque, non per colpa del Tesoro, la strategia di gestione del debito poggia su tre gambe malcerte. Con un’incognita in più: l’imminente esame europeo delle banche guarderà anche al rischio insito in un eccesso di titoli di Stato presenti nei loro bilanci. Proprio per evitare una censura su questo aspetto, in Spagna il Banco Popular ha già venduto più di 10 miliardi di titoli di Madrid. Le banche italiane, che hanno circa 400 miliardi in Btp o simili, potrebbero non fare altrettanto, ma nel 2014 probabilmente smetteranno di comprare bond del Tesoro al ritmo frenetico degli ultimi anni. Con oltre 470 miliardi di euro di bond da collocare l’anno prossimo e altrettanti quello dopo, l’Italia può dunque tenere la rotta solo se riuscirà ad attrarre di nuovo investitori esteri. Ma questi torneranno solo se vedranno crescita e rigore sui conti. Ciò dà la misura del margine d’errore del governo sulla legge di stabilità: zero assoluto.