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 2013  ottobre 08 Martedì calendario

LA CANCELLIERI CE L’HA CON GLI AVVOCATI


Dei quasi 40 regolamenti attuativi necessari per dare contenuto concreto alla riforma forense varata con la legge 247 del 2012, ne sono stati approvati cinque, tutti di competenza del Consiglio nazionale forense. Il ministero della Giustizia, che deve prepararne una quindicina, è ancora a quota zero. Una riforma che aveva fatto esultare gli avvocati, approvata al fotofinish, addirittura nell’ultima sessione utile della scorsa legislatura, rischia di trasformarsi in un boomerang. Perché le deleghe a emanare i provvedimenti attuativi hanno una scadenza, e in alcuni casi i tempi sono già finiti lasciando la categoria in mezzo al guado. È il caso del provvedimento sulle società tra avvocati.

Secondo il Consiglio nazionale forense la scadenza della delega ha come effetto quello di far riviere la disciplina precedente, cioè le regole del 2001 che escludevano i soci di capitali. Ma secondo il ministero l’effetto è completamente diverso: si applicherebbero infatti agli avvocati le regole generali applicate dagli altri professionisti, con la possibilità, quindi, di costituire società di capitali con la presenza di soci di capitali. Un caos completo. Le polemiche non sono mancate anche in ordine alla soppressione dei tribunali minori che, secondo il ministero della giustizia comportava l’automatica estinzione anche degli ordini forensi ricompresi nelle circoscrizioni. Su questo tema il Consiglio nazionale forense ha condotto una dura battaglia sollevando tutti i problemi che questa soluzione avrebbe comportato. Alla fine si è arrivati a una soluzione di compromesso. Via Arenula ha concesso agli ordini di utilizzare una proroga poco più di un anno, che dovrebbe consentire di regolarizzare tutte le situazioni più critiche prima dell’accorpamento. A questo punto non è difficile intuire che a via Arenula l’approccio verso la classe forense non sia più così di favore come ai tempi del ministro Paola Severino. Con il ministro Anna Maria Cancellieri è un continuo braccio di ferro. Tanto che è ormai difficile pensare che la riforma approvata nella scorsa legislatura e formalmente in vigore dal febbraio 2013, possa entrare in vigore in modo più o meno completo.

Già nei giorni scorsi si è avuto un assaggio di quello che potrebbe succedere su uno dei temi di maggior sensibilità della classe forense, quello dei compensi. Un decreto emanato nel 2011 dal governo Monti aveva eliminato del tutto la validità delle tariffe professionali che in qualche modo erano rimaste in piedi dopo la prima riforma delle professioni firmata nel 2006 da Visco e Bersani. Ma il decreto 140 del 2012 aveva, in qualche modo, rimediato ai problemi creati da questo colpo di spugna con la previsione di parametri di riferimento per la determinazione dei compensi. Era un decreto pieno di lacune, tanto che tutte le professioni hanno chiesto aggiustamenti. Che erano stati concessi. Anche le modifiche chieste dagli avvocati erano pronte, ma i legali hanno preferito respingerle contando sul fatto che la riforma forense avrebbe previsto per loro un trattamento del tutto particolare. Poi il governo è cambiato e la situazione si è ribaltata. In attuazione di una delle deleghe previste nella legge di riforma forense il Cnf ha infatti approvato una bozza di decreto per la definizione dei parametri. Il testo o poi passalo sotto le cure del ministero della Giustizia e ne è uscito con un ridimensionamento dei valori fino al 30%. Il braccio di ferro continua.