Il Post 8/10/2013, 8 ottobre 2013
CHE COS’È IL CUNEO FISCALE
Entro il prossimo 15 ottobre il governo dovrà presentare in Parlamento la legge di stabilità, la manovra di finanza pubblica che regola per tre anni la vita economica del paese. Stando a quanto ha detto fin qui il presidente del Consiglio, Enrico Letta, uno dei punti centrali della legge – che dovrà essere approvata entro il 31 dicembre – sarà la riduzione del cosiddetto cuneo fiscale. Che è una cosa che riguarda praticamente qualsiasi persona abbia un lavoro o assuma qualcuno.
Cuneo fiscale
Si definisce cuneo fiscale la somma delle imposte (dirette, indirette o sotto forma di contributi previdenziali) che pesano sul costo del lavoro, sia per quanto riguarda i datori di lavoro, sia per quanto riguarda i dipendenti (e i liberi professionisti). Detto ancora più semplice: il cuneo fiscale è la differenza tra quanto un dipendente costa all’azienda e quanto lo stesso dipendente incassa, netto, in busta paga. In Italia questa differenza è molto alta.
Il costo del lavoro
Per comprendere l’entità del cuneo fiscale e costo del lavoro in Italia si può fare riferimento a due diversi studi: quello dell’ISTAT (l’Istituto nazionale di Statistica) o quello dell’OCSE (l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico).
L’ultima statistica dell’ISTAT è stata pubblicata lo scorso 27 settembre e fa riferimento al 2010. Risulta che il cuneo fiscale in Italia sia pari, in media, al 46,2 per cento del costo del lavoro. Il peso maggiore è per i datori di lavoro (25,6 per cento) e il restante 20,6 per cento dei contributi è invece a carico del lavoratore. Per capirci: significa che per ogni 100 euro pagati dall’azienda, la redistribuzione netta in busta paga del dipendente è 53,8 euro.
Secondo l’ISTAT, inoltre, il cuneo più alto è nel nord-ovest d’Italia con il 47 per cento, mentre al sud e nelle isole si ferma al 44,4 per cento: questa differenza dipende dalle imposte regionali. Ci sono anche differenze di genere: tra le dipendenti donne il costo del lavoro è mediamente il 74 per cento di quello dei dipendenti uomini e la retribuzione netta è il 76 per cento di quella maschile.
Il rapporto dell’OCSE inserisce nei calcoli anche IRAP (imposta regionale sulle attività produttive), TFR (liquidazione o trattamento di fine rapporto) e INAIL (assicurazione contro gli infortuni sul lavoro). Secondo l’OCSE, che ha dati più aggiornati, il cuneo fiscale italiano nel 2012 è stato pari al 47,6 per cento. Per ogni 100 euro di stipendio lordo, un’impresa o un datore di lavoro versa 32 euro allo stato (il 24,3 per cento del totale), mentre il dipendente contribuisce con il 23,3 per cento (31 euro). Questo significa che per ogni 132 euro spesi dall’azienda la redistribuzione netta in busta paga del dipendente è 69 euro.
In Italia e in Europa
Nel rapporto dell’OCSE l’Italia si trova al sesto posto nella classifica dei paesi europei per maggiore costo del lavoro, con 12 punti in più rispetto alla media generale. Ma l’Italia ha una delle tassazioni sul reddito più alte in assoluto: solo Belgio, Finlandia e Danimarca ce l’hanno più alta, ma con ben altri servizi (e a volte non prevedono tasse a carico dell’imprenditore, come la Danimarca). Sempre secondo l’OCSE, negli ultimi 10 anni (2002–2012) il cuneo fiscale italiano è aumentato dell’1 per cento mentre negli altri paesi, nello stesso periodo di tempo, c’è stata una riduzione generale dello 0,9 per cento.
Perché è importante
La riduzione del cuneo fiscale almeno in teoria trova tutti d’accordo: è chiesta da aziende e lavoratori, dai sindacati e da Confindustria. Questo perché, come spiega il Sole 24 Ore, «è il modo più veloce per riacquistare competitività, beneficiare della crescita della domanda estera» e aumentare il potere d’acquisto delle famiglie facendo arrivare più soldi nelle buste paga, cosa che nel medio periodo dovrebbe portare anche a una maggiore domanda interna. Senza contare che rendere le assunzioni meno onerose per le aziende dovrebbe aumentare occasioni e opportunità per chi sta cercando lavoro.
Ovviamente tagliare il cuneo fiscale costa: ci si aspetta che il governo Letta proponga una riduzione che valga tra i 4 e i 5 miliardi di euro. La proposta iniziale era 2 ed è stata giudicata troppo bassa sia dai segretari di CGIL, CISL e UIL (che il governo ha incontrato lunedì sera), sia dal presidente di Confindustria Giorgio Squinzi che ha chiesto almeno 8-10 miliardi.
Marco Deaglio, sulla Stampa di oggi, spiega che:
La riduzione del cuneo fiscale che il governo è ora in grado di proporre (…) non potrà che essere piccola dal punto di vista della quantità: nell’ordine di 200-300 euro l’anno, come se il presidente del Consiglio e la sua squadra di governo offrissero a tutti i lavoratori dipendenti italiani un caffè al giorno, probabilmente escludendo i sabati e le domeniche, al bar dell’angolo.
Bisogna ancora capire dove saranno reperite le risorse. E bisogna capire le modalità di intervento, cioè se si deciderà di tagliare le tasse ai lavoratori o alle imprese. La cosa non è stata chiarita dal governo: saranno defiscalizzati gli oneri a carico delle aziende (IRAP e contributi) o le tasse sul reddito (per esempio l’IRPEF) a carico dai lavoratori? Comunque andrà, prosegue Deaglio:
La riduzione del cuneo fiscale è benvenuta se la si può configurare come un primo passo su un lungo sentiero di riduzioni che si dovrebbe snodare nel corso dei trimestri del prossimo anno, qualora se ne presentino le condizioni, in un quadro generale del Paese e dell’Unione Europea rivolto a una crescita dell’economia reale: da un lato la produzione riparte e accelera gradualmente e dall’altro i bilanci pubblici ottengono, altrettanto gradualmente, maggiori entrate da questa economia in crescita senza dover aumentare le aliquote fiscali, ma anzi con la possibilità di ridurle. Occorrerebbe probabilmente una flessibilità della finanza pubblica maggiore a quella attuale, a esempio con il finanziamento, trimestre dopo trimestre, degli sgravi fiscali con le risorse che, trimestre dopo trimestre, si renderanno disponibili con la lotta all’evasione fiscale.