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 2013  ottobre 08 Martedì calendario

UNA VOCE SPAZIALE


ERA IL GIUGNO DEL 1963 E VALENTINA TERESKOVA ERA IN ORBITA INTORNO ALLA TERRA A BORDO DEL VOSTOK 6: LA PRIMA DONNA A VOLARE NELLO SPAZIO, DUE ANNI DOPO JURUGAGARIN. Dal cosmodromo di Bajkonur, in Kazakhstan, le chiesero com’era, lassù. Valentina disse che era tutto bellissimo, ma che si sentiva sola e c’era un grande silenzio. Da Bajkonur le dissero: come possiamo aiutarti, Valentina? Vuoi sentire della musica? E lei rispose che avrebbe ascoltato volentieri una canzone del «bambino dei miracoli». Robertino, giusto?, chiesero da terra. E così la voce di Robertino fu la prima ad intonare canzoni nel cosmo.
Quando quindici anni dopo, nel 1978, cominciammo a frequentare l’Unione Sovietica da studenti ci trovammo a vivere di continuo un’esperienza spiazzante. Appena i russi capivano che eravamo italiani, ci sorridevano (ci hanno sempre voluto bene, da quelle parti, anche se durante la guerra li avevamo invasi: ma la differenza fra noi e i tedeschi era una delle nozioni che i cittadini sovietici assorbivano con il latte materno) e dicevano: «Italjanskij! Celentano! Robertino!». I due nomi arrivavano sempre insieme, e non necessariamente in quell’ordine. Tutti sapevamo – ovvio! – chi era Celentano ma non tutti gli italjanskie sapevano chi era Robertino. Spesso erano i russi, a spiegarcelo: «Robertino! Il bambino con la voce d’angelo».
Non eravamo i primi italiani a vivere questo dubbio. Nel febbraio del 1960 (tre anni prima del volo della Tereskova) il presidente della Repubblica Giovanni Gronchi si recò, primo capo di Stato occidentale, in visita ufficiale in Urss. Nikita Krusciov, il segretario del Pcus, lo accolse più o meno con queste parole: «Siamo orgogliosi di ricevere il presidente di un paese come l’Italia, la culla dell’arte e della cultura, il Paese di Leonardo, di Raffaello, di Giotto, di Michelangelo... il Paese di Robertino!». Gronchi guardò stupito i suoi collaboratori, più stupiti di lui: i primi quattro li conosceva, ma il quinto – Robertino – chi diavolo era?
Roberto Loreti, in arte Robertino, è qui davanti a noi all’angolo fra via Tuscolana e via Giulio Agricola. A due passi da lì, in via Flavio Stilicone, c’è la pasticceria della sorella, dove ci ingozziamo di dolci e facciamo due chiacchiere. Siamo tra il Quadraro e il quartiere Don Bosco, poco lontani da Cinecittà: un quartiere affollato e storicamente «rosso», uno dei cuori pulsanti e trafficati della periferia romana. «Mio padre Orlando faceva lo stuccatore e il decoratore, io sono il quinto di otto figli. La domenica seguivo papà quando faceva la diffusione militante dell’Unità, sono veramente felice di incontrarti».
Siamo felici anche noi, perché incontrando Roberto Loreti diamo un volto a una leggenda. Quel nome che tutti i russi ci nominavano con venerazione è finalmente realtà. Robertino ha venduto in Urss 56 milioni di dischi, ovviamente senza vedere un rublo: non c’era ancora il «mercato»... Lui è nato nel 1946, subito dopo la guerra dove suo padre se l’era cavata alla grande quando, fatto prigioniero dagli americani, aveva raccontato di essere un pasticciere ed era divenuto capo cuoco! In realtà i dolci ce li aveva nel sangue, e sono diventati una tradizione di famiglia. Ma con il piccolo Roberto il business dei Loreti si allargò: «Consegnavamo paste e torte ai matrimoni, e poi mi chiedevano di cantare. Avevo una voce bianca che spaccava i lampadari... Con grandi sacrifici, i miei genitori mi mandarono a studiare da Salvatore De Tommaso, un grande maestro che aveva lavorato con Tito Schipa e Beniamino Gigli. A 14 anni diventai una star in Scandinavia e in un certo senso devo tutto alla Finlandia: sul confine tra quel paese e l’Unione Sovietica i militari, come sempre, si scambiavano di tutto e un giorno un soldato finlandese comprò delle sigarette da un russo barattandole con un mio 45 giri. Cominciò tutto da lì. Il giorno dopo quel russo gliene chiese altri. I miei dischi iniziarono a circolare in Urss in modo clandestino, e divenni famosissimo».
Parte di questa incredibile storia è raccontata in Italiani veri, un documentario di Marco Raffaini, Marco Mello e Giuni Ligabue passato in questi giorni all’edizione romana del Biografilm Festival. Nel film ci sono anche Pupo, Toto Cutugno e Al Bano, e possiamo testimoniare che in Urss/Russia erano e sono popolarissimi anche loro. Soprattutto Al Bano e Romina, che i russi spesso chiamano «albirominapower» come fossero una cosa sola, un supergruppo, un marchio come «brangelina» (Brad Pitt e Angelina Jolie). Ma, credeteci: Robertino lo era di più. Italiani veri si apre con la sua voce da ragazzino che intona Giamaica, uno dei suoi cavalli di battaglia. Subito dopo uno dei russi intervistati spiega: «Io, e come me molti altri, pensavamo cantasse “ja majka” e ci domandavamo perché un ragazzino affermasse di essere una maglietta della salute (in russo ja è il pronome “io” e majka significa “canottiera”, ndr). Poi ci spiegarono che era un’isola lontana, nei Caraibi». Mentre tutta l’Urss impazzisce per lui, da Mosca a Vladivostok, Robertino non sta con le mani in mano: partecipa a cinque festival di Sanremo e nel 1966 vince, lui romano de Roma, il festival di Napoli in coppia con Sergio Bruni. Crescendo cambia voce, ma la sua preparazione tecnica gli permette di diventare, ci spiega, «da voce bianca una via di mezzo fra un baritono chiaro e un tenore drammatico». E poi, nel 1989, cade il Muro e Robertino finalmente ci va, in Urss. È un trionfo. Lo accoglie Gorbaciov, lo trattano come un re, a Charkov canta davanti a 500.000 persone in una piazza immensa (le immagini del concerto sono in Italiani vivi e fanno sembrare gli show di Bruce Springsteen una cosa per pochi intimi). «Quello è un pubblico fedele, quando ti adotta non ti lascia più. Oggi in Russia vengono a sentirmi i ragazzi, ma anche Putin e sua moglie sono miei fan. Ci sono stati momenti in cui, nelle hit-parade sovietiche, io ero ai primi quattro posti; poi quinto era Nat King Cole, sesto Fats Domino, settimo Elvis con It’s Now or Never mentre la mia versione di O sole mio era prima... Molti non ci credono ma io ho i ritagli di giornale con quelle classifiche, sapessi quante scommesse ci ho vinto». Insomma, dalla nuova Russia ora arriva anche qualche soldo: «La Russia è la mia pensione, ma sono ancora popolarissimo in America: sono appena stato a New York per il festival della canzone italiana, assieme a Maria Nazionale e a tutti gli attori di Un posto al sole. Un successone». E in Italia? «Lasciamo perdere. Curo gli affari di famiglia, questa pasticceria, altri esercizi che ho aperto assieme ai miei fratelli. L’Italia ha cominciato presto ad ignorarmi, in Urss mi hanno addirittura dedicato un francobollo». Come alla Tereskova.