Andrea Montanari, MilanoFinanza 5/10/2013, 5 ottobre 2013
QUEI CORVI SU SOLFERINO
Sembra che con la miriade di problematiche da risolvere in casa Rcs Mediagroup (pubblicità, ristrutturazione, vendite di asset come i giornali in Spagna, tagli di personale, ammanchi di cassa e quant’altro), tutto ruoti attorno solo a Via Solferino. Perché appena si tocca l’argomento della cessione dello storico palazzo nel quartiere Brera a Milano, che ospita la redazione del Corriere della Sera, la tensione sale, gli scioperi sono all’ordine del giorno, il cda si divide e i soci non trovano una posizione unitaria. Lo dimostra il fatto che la trattativa con il fondo Blackstone, per la dismissione degli immobili di San Marco e, appunto, Solferino, che doveva concludersi il 30 settembre slitta ancora.
Ufficialmente, come ha ribadito l’ad del gruppo Pietro Scott Jovane, «si va avanti con il piano», ma è risaputo che ci sono divergenze. Contrari sarebbero il presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli, e il notaio e già presidente di Rcs, Piergaetano Marchetti, che nel frattempo si sta occupando della stesura della bozza del patto di consultazione light che nei desiderata di Fiat (20,5%) dovrebbe sostituire l’attuale patto di sindacato in scadenza nella primavera 2014. Una nuova entità giuridica che però, verosimilmente, faticherà a vedere la luce a breve. Tanto che alla riunione del patto di lunedì 14 è probabile che Marchetti non presenti alcun documento. Perché la coesione tra i grandi soci che c’era fino a prima dell’estate pare essere svanita. Per un motivo: il maggior peso che la Fiat presieduta da John Elkann ha in via Rizzoli. Ruolo che va oltre quello di primo azionista come dimostra il progetto di integrazione della concessionaria Pk (gruppo Fiat) in Rcs Pubblicità e l’arrivo, dalla Editrice La Stampa (e prima in Exor), di Raffaella Papa, di fatto braccio destro di Jovane sul piano industriale. Così è verosimile che a partire da Intesa (6,5%) ognuno voglia giocarsi le proprie chance liberandosi dai vincoli del sindacato di blocco, un’opportunità che rimette in gioco Diego Della Valle (8,99%). Mentre fuori dai giochi si chiama Mediobanca (15%) che una volta sciolti i vincoli (sei mesi dalla fine del patto) inizierà a vendere sul mercato. O a qualche socio, senza però propendere per qualche fazione.
Che ci siano frizioni lo dimostra anche il tema, da tempo sul tavolo, del rinnovo della direzione del Corriere della Sera. Ferruccio de Bortoli, classe 1953, sommando gli anni dei due mandati è il più longevo direttore del quotidiano dal Dopoguerra. E dopo essersi esposto con la redazione, nel 2011, proprio sul tema della vendita del palazzo (legò la sua posizione alla permanenza in via Solferino) ora sta traghettando la testata nel mare della crisi: se il primo trimestre si era chiuso con un margine in rosso di 1 milione, il secondo quarter è tornato in positivo per oltre 10 milioni. Elkann vedrebbe di buon grado sulla tolda di comando del CorSera il direttore de La Stampa, Mario Calabresi. Ma Bazoli ha posto il veto: resta de Bortoli per un altro anno. Altrimenti di vera colonizzazione torinese si tratterebbe. E siccome al momento altri papabili all’orizzonte non se ne vedono, lo status quo regnerà. Almeno fino a quando non si arriverà al definitivo assetto di controllo di Rcs con possibili ruoli per Urbano Cairo (2,84%) o la Pirelli (5,44%), magari al fianco di Fiat. A quel punto, per de Bortoli si schiuderebbero le porte della presidenza di Rcs e Calabresi potrà coronare il suo percorso professionale.
In tutto ciò il gruppo dovrà fare i conti con il rosso di bilancio, anche a causa del buco di Rcs Sport (l’ammanco sarebbe di 13 milioni) e l’eventuale stop alla vendita di via Solferino che obbligherebbe Jovane a bussare alle banche. Senza citare le azioni che Della Valle potrebbe intraprendere per tutelare l’investimento. Pare che mr Tod’s abbia atteso la conclusione della salvataggio della Tassara per valutare le differenti condizioni della ristrutturazione del debito (2,3 miliardi) che prevede anche la conversione in strumenti partecipativi e l’accollo di eventuali perdite. Condizioni che per l’imprenditore marchigiano si sarebbero potute applicare anche per Rcs senza passare esclusivamente dalla ricapitalizzazione.