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 2010  ottobre 08 Venerdì calendario

CINQUE ANNI DOPO SIAMO DI NUOVO LÌ: CHI METTE I CAPITALI?


Il vertice Alitalia rifà i conti della manovra anti-crisi: chiede più capitali agli azionisti e meno prestiti alle banche. Ma il problema è chi metterà questi soldi, visto che molti «Capitani coraggiosi» stanno abbandonando la nave incagliata sugli scogli.
Cinque anni dopo la privatizzazione della polpa della vecchia Alitalia pubblica e la creazione di una bad company con i debiti e gli esuberi, anche la nuova Cai dei venti soci privati italiani (e al 25% di Air France-Klm) è, almeno dal punto di vista tecnico-contabile, una nuova bad company, una società sull’orlo dell’insolvenza.
Alitalia-Cai, c’è scritto nella relazione semestrale approvata dal consiglio di amministrazione il 26 settembre, rischia di non pagare gli stipendi ai 14mila dipendenti. La Cai ha debiti commerciali per 124 milioni di euro – in parte scaduti – verso AdR per i servizi dell’aeroporto di Fiumicino, è in difficoltà nel pagamento puntuale del carburante per far volare gli aerei, ha fatto notare ieri l’amministratore delegato dell’Eni, Paolo Scaroni.
Il capitale versato dai soci tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009, cioè gli 847 milioni messi da soci italiani, i «patrioti» chiamati da Silvio Berlusconi e organizzati da Intesa Sanpaolo ai tempi di Corrado Passera, più i 323 milioni versati da Air France-Klm, è interamente perduto, eroso dalle perdite che, con i 294 milioni del primo semestre 2013, dal 2009 a oggi hanno superato un miliardo e 200 milioni. Al 30 giugno scorso il patrimonio netto consolidato risultava negativo per oltre 90 milioni, i debiti finanziari netti erano pari a 946 milioni. Alla stessa data la disponibilità liquida totale gestionale, comprendente le linee di credito non utilizzate, era pari a 128 milioni. Cioè quanto basta per poche settimane.
Di fronte a queste cifre il 26 settembre la prima risposta del cda presieduto da Roberto Colaninno, l’imprenditore che nella scalata del 2008 ha fatto da cerniera con il Pd (e il figlio Matteo è deputato e responsabile economico del Pd), è stata sottoporre agli azionisti e alle banche una proposta di aumento di capitale da 100 milioni, più il versamento dei 55 milioni mancanti del prestito obbligazionario convertibile approvato in febbraio e almeno 300 milioni di prestito alle banche. Negli ultimi giorni però l’a.d. di Alitalia, Gabriele Del Torchio, ha corretto queste cifre. Del Torchio ha presentato al cda una diversa composizione della manovra, chiede 150 milioni in più di capitale ai soci: la richiesta, comunicata al cda del 4 ottobre, ma non sottoposta a votazione, è di un aumento di capitale per 250 milioni. Così la quota di prestiti richiesta alle banche scende a 200 milioni. La manovra totale resterebbe sui 500 milioni di risorse da raccogliere.
Del Torchio è andato nella direzione indicata da Air France-Klm, i cui rappresentanti avevano votato contro la delibera del 26 settembre ritenendo insufficiente una mini-ricapitalizzazione di 100 milioni per una società di queste dimensioni che non ha più patrimonio. Quest’ultimo piano è rimasto sospeso in attesa del vertice di ieri, dal quale i principali soci di Alitalia, ma anche le banche creditrici (con Intesa nel doppio ruolo di azionista e creditore), si aspettavano l’indicazione di un intervento dello Stato nel capitale. In mancanza di questa rassicurazione, il cda oggi dovrà valutare se il piano finanziario è adeguato, considerando che solo alcuni soci appaiono disponibili a ricapitalizzare (solo Air France, Atlantia e Immsi, hanno il 42,7% del capitale, incerta la posizione di Intesa che ha il 10%).
Ha perso quota l’ipotesi di attirare le Fs nel capitale. Ipotesi che suggestiva per chi considera la razionalizzazione nell’alta velocità tra Roma e Milano nella quale il Frecciarossa di Mauro Moretti è vittorioso sulla Cai (e sulla Ntv di Montezemolo, Della Valle e soci). Ipotesi meno suggestiva se si pensa che nel mondo non ci sono altri esempi di integrazione societaria tra treno e aereo. L’Italia dei trasporti, ritmata da carenze di infrastrutture e servizi, non sembra il candidato ideale a lanciare questa sperimentazione societaria: non abbiamo neppure un aeroporto con una stazione con treni ad alta velocità, come c’è invece a Parigi Charles De Gaulle, ad Amsterdam Schiphol, a Francoforte. Si dovrebbe poi ricordare un altro fatto: le Fs hanno un bilancio in utile (379 milioni nel 2012 e 272 nel 2011), ma ricevono consistenti fondi pubblici dallo Stato e dalle Regioni, per il trasporto regionale e il contratto di programma: per 3 miliardi e 318 milioni nel 2011, secondo i dati riclassificati da R&S (Mediobanca). E i servizi regionali, come ben sanno pendolari e studenti, non hanno conosciuto i miglioramenti dell’alta velocità, anzi sono stati tagliati rispetto al passato.