Marco Valsania, Il Sole 24 Ore 08/10/2010, 8 ottobre 2010
UNA GUERRA CHE VIENE DA LONTANO
NEW YORK
È una guerra che viene da lontano. Uno scontro epico e senza esclusioni di colpi su riforme della spesa pubblica e contenimento del debito come sul ruolo stesso dello stato, delle sue politiche fiscali e sociali. E che sotto la seconda presidenza di Barack Obama, con uno shutdown del governo in atto e lo spettro del default tecnico all’orizzonte, sta diventando intrattabile in un clima di polarizzazione senza precedenti.
I prodromi della battaglia risalgono al 2010, al varo della riforma sanitaria Affordable Care Act, la legge che rappresenta la maggior conquista di politica interna di Obama e che invece per i repubblicani e le loro correnti più conservatrici è il simbolo stesso di una cocente e mai digerita sconfitta. Una legge per allargare l’assistenza a gran parte dei 48 milioni di americani senza copertura, creando da quest’anno exchange per polizze sanitarie controllate e sussidiate dalle autorità ed espandendo dall’anno prossimo Medicaid, il programma per i poveri.
Ma entrambi sono progetti che i repubblicani vedono come il fumo negli occhi. Soprattutto le potenti correnti vicine ai Tea Party che contano su un’ottantina di parlamentari soprannominati il "caucus suicida" e tra cui spicca il senatore texano Ted Cruz. La strategia repubblicana, ha rivelato il New York Times, è stata tenuta a battesimo mesi or sono in un incontro segreto dove i kamikaze hanno deciso di tenere in ostaggio budget e debito federali per strappare concessioni: almeno il rinvio di un anno della riforma e l’eliminazione di alcuni finanziamenti, quali una tassa sulle apparecchiature medicali. I democratici, però, non vogliono scendere a patti su una riforma che considerano ormai acquisita. Obamacare, che nel lungo periodo intende frenare i costi sanitari, per decollare richiede 1.100 miliardi in dieci anni ottenuti da risparmi altrove e da imposte.
La successiva data essenziale, nel riscostruire la crisi, è l’agosto 2011. Risale a quell’estate il primo grande scontro frontale sul bilancio tra la Casa Bianca di Obama e i repubblicani al Congresso: già allora, in mancanza di tagli alla spesa e sgravi fiscali nel budget, minacciarono di non alzare il tetto sull’indebitamento federale. Un duello che spinse Standard & Poor’s al controverso e storico passo di un declassamento del rating, con la perdita della tripla A in omaggio a una politica di "brinkmanship", di un rischio calcolato forse non ben calcolato, come lo definì la stessa S&P.
Lo scontro allora fu rinviato, non risolto. Le parti adottarono una legge per far scattare tagli automatici di spesa da 1.200 miliardi di dollari in dieci anni, il sequester, assieme a un aumento del tetto. Il progetto prevedeva che un ampio accordo di bilancio avrebbe sostituito i tagli automatici, un’intesa mai materializzatasi. La distanza sulle tasse, che Obama vuole ridurre anzitutto ai ceti medi e alle imprese che producono in America, e sulla spesa, gli investimenti in infrastrutture e istruzione, si sono anzi aggravate. E dal 2010 il normale processo di varo del budget, con risoluzioni quadro approvate dal Congresso seguite da una dozzina di leggi di stanziamento, è rimasto del tutto bloccato. Un’evenienza che dagli anni Settanta si era verificata solo tre volte (una paralisi meno grave avvenne sotto la presidenza di Bill Clinton). Al posto di ragionati budget sono stati così utilizzati provvedimenti provvisori che hanno finanziato le attività del governo.
La battaglia sul budget di quest’anno si interseca, ancora una volta, con la crisi del debito, che ha un tetto stabilito dal Congresso. Un tetto, 16.700 miliardi, che verrà raggiunto il 17 ottobre o poco dopo. In cambio di mosse sul debito, in passato considerate di routine, i repubblicani hanno chiesto anche qui marce indietro sulla sanità oltre che drastiche riforme fiscali, ritiro di regolamentazioni ambientali e persino la rapida approvazione dell’oleodotto Keystone. Obama ha replicato che la credibilità degli Stati Uniti e del loro debito non può diventare oggetto di simili trattative.