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 2010  ottobre 08 Venerdì calendario

È FINITA L’ERA DELLE GRANDI DIGHE


Quella spaventosa cannonata di aria compressa e acqua che una notte d’ottobre di cinquant’anni fa ha cancellato Longarone, distrutto una valle e ucciso duemila persone ci insegna ancora qualcosa. La frana del Vajont è stata una parte del prezzo pagato al convulso sviluppo industriale di quell’Italia lontana.
Ma la diga, la più alta del mondo al tempo, ha tenuto, e la colpa non è stata tanto quella di averla costruita, quanto quella di averla voluta mettere per forza in un posto che non era adatto a ospitarla. Dopo mezzo secolo, però, sappiamo che il periodo delle megadighe è finito per sempre e che le grandi opere vanno ragionate in un modo radicalmente differente. Si è finalmente capito che le grandi dighe creano più danni che vantaggi e hanno un impatto ambientale insostenibile, oltre a causare vere guerre per l’acqua. Perdita di patrimonio archeologico, modificazioni del microclima, deportazione delle popolazioni, impoverimento dei fiumi e erosione delle coste sono fra gli svantaggi più gravi che derivano dalla costruzione delle grandi dighe. Nei Paesi del Nord del mondo (e in Italia) la maggior parte dei corsi d’acqua importanti è stata già sbarrata, per cui è quasi impossibile produrre ulteriormente energia idroelettrica, se non attraverso centrali molto piccole o ad acque recuperate. Ma la spaventosa domanda di energia elettrica conduce ancora i Paesi emergenti a cercare la via dei grandi sbarramenti artificiali: in Brasile, in Turchia e soprattutto in Cina enormi dighe consentono la produzione di giganteschi quantitativi idroelettrici, costringendo a pagare, però, un prezzo ambientale che ormai è diventato insostenibile. La più grande di tutte, la diga delle Tre Gole (in Cina), ha imposto la deportazione di centinaia di migliaia di persone, la scomparsa di importanti siti archeologici, la distruzione di habitat delicati e di ecosistemi unici (compresa l’estinzione di un raro delfino di fiume) e la perdita di terreni utili all’agricoltura.

Tutte le dighe sono forme effimere: prima o poi ogni lago diventa palude, quindi terraferma e dunque renderà vani gli sforzi per avere più acqua e più energia. Ma un grande lago artificiale provoca inevitabilmente una modificazione locale del clima, come ad Assuan (in Egitto), dove oggi si registrano tassi di umidità e addirittura piogge che danneggiano i monumenti scampati, contribuendo alla loro erosione accelerata. La creazione di uno specchio d’acqua alle spalle della diga, in quel caso, non ha solo costretto allo spostamento dei monumenti, ma anche alla deportazione dei nubiani e alla perdita di piantagioni di palma da dattero (allora unica risorsa della regione). Per non parlare del fatto che il famoso limo del Nilo, sbarrato dalla diga, non rende più fertili i terreni e porta il delta in erosione: se un giorno Alessandria diventerà un’isola lo dovremo alla diga di Assuan.
La grandi dighe come quella di Itaipù (in Sudamerica) devastano gli ambienti fluviali, il suolo e le popolazioni (e sono già costate lo sfratto di 40 milioni di persone). Ma c’è di più: il loro impatto sul clima rischia di divenire paragonabile a quello delle centrali termoelettriche. Il carbonio delle foreste inondate si decompone in assenza di ossigeno e si dissolve nell’acqua sotto forma di metano, per poi venire rilasciato quando passa attraverso le turbine. E come gas clima-alterante il metano è molto più potente dell’anidride carbonica. Si calcola che la diga di Itaipù sia da sola sufficiente ad accrescere le emissioni di gas serra del Brasile del 7%. Le grandi dimensioni e il contesto sbagliato fanno arrivare al paradosso di trasformare una fonte energetica a emissioni zero in una inquinante.
E il grande sistema di dighe sul Tigri e sull’Eufrate cancellerà per sempre quello che resta della Mesopotamia, rendendo secca la culla della civiltà. Mentre sono anni che il Colorado non sfocia più nel Golfo del Messico, come natura vorrebbe, ma viene tutto irregimentato negli Stati Uniti. Anche per questo, mezzo secolo dopo il più grave disastro idrogeologico d’Italia, il tempo delle grandi dighe sembra ormai finito.