Sergio Romano, Corriere della Sera 07/10/2010, 7 ottobre 2010
FORZA ITALIA E BERLUSCONI STORIA DEL PARTITO PATRIMONIALE
Nelle ultime elezioni abbiamo assistito all’incredibile successo di un nuovo partito, fondato, guidato e comandato in modo autocratico e assolutista da un solo uomo. Poi, in questi giorni abbiamo visto che un altro uomo, non dopo riunioni assembleari con pubblico dibattito ma dalla sua abitazione e da solo (o con pochi intimi) può decidere di ordinare agli esponenti del suo partito di dare le dimissioni dal Parlamento e dal governo, essendo unanimemente e immediatamente obbedito nonostante le prevedibili e gravissime conseguenze per il Paese. Queste clamorose e spudorate negazioni delle regole fondamentali della democrazia, non ricordano quanto avvenuto con il comunismo di Stalin, il fascismo di Mussolini, il nazismo di Hitler eccetera? Non vede nelle affermazioni di una singola persona un pericoloso desiderio di dittatura, anche se forse inconscio, da parte di milioni di elettori?
Rinaldo Pellegrini
Caro Pellegrini,
Lascio a un altro momento la riflessione che lei chiede sul Movimento cinque Stelle e mi limito oggi a qualche considerazione sul secondo personaggio evocato nella sua lettera.
Quando Silvio Berlusconi lanciò Forza Italia, scrissi che la sua creatura era un partito-azienda. Il fondatore poteva contare su un intelligente consigliere liberale (Giuliano Urbani), ma i materiali con cui costruì la sua macchina politica venivano in buona parte dalle sue aziende televisive e dalla società sportiva di cui era proprietario. I pubblicitari, i sondaggisti, gli avvocati, i registi delle «convention», gli organizzatori di eventi aziendali e i tifosi militanti del Milan avrebbero continuato a fare in Forza Italia tutto ciò che sino a quel momento avevano fatto a Mediaset e nelle altre imprese del gruppo. Berlusconi dette un nome al partito, e lo cambiò più tardi, con gli stessi criteri con cui un industriale lancia un nuovo prodotto o cambia l’«abbigliamento» di un prodotto che occorre ringiovanire.
Con la nascita di Forza Italia abbiamo assistito quindi all’apparizione di un partito «patrimoniale» in cui il leader è al tempo stesso proprietario. Col passare del tempo si è formata intorno a Berlusconi una classe politica non priva di esperienze e competenze, ma le principali caratteristiche di Forza Italia, nelle sue diverse incarnazioni, sono rimaste a lungo le stesse. Il partito non aveva organi rappresentativi e non conosceva altro leader fuor che Silvio Berlusconi. Aggiungo, a onore del vero, che il fondatore ha portato in dote alla sua creatura, oltre alla ricchezza personale, straordinarie capacità comunicative e una quota considerevole di consenso nazionale. Se il Pdl fosse stato un partito normale, le traversie giudiziarie del leader avrebbero sollecitato al suo interno, da molto tempo, critiche, dissensi e soprattutto le ambizioni di leader potenziali, umanamente ansiosi di prendere il suo posto. In un partito patrimoniale, evidentemente, questi fisiologici processi della vita politica erano molto più difficili, se non addirittura impossibili. È questa la ragione per cui Berlusconi poteva permettersi di prendere decisioni e impartire ordini, come è accaduto sino al 2 ottobre. Oggi la situazione è diversa. Non vi è stata ancora la rivolta dei baroni contro il re, ma qualche barone ha osato ribellarsi a una linea che avrebbe comportato la caduta del governo.
Quanto ai suoi confronti con i grandi tiranni del secolo scorso, caro Pellegrini, mi sembrano fuori luogo. Là dove lei vede l’ombra dei grandi dittatori, io vedo il grande venditore, l’abile oratore, lo spregiudicato fabbricante di sogni e, naturalmente, un enorme conflitto d’interessi. Non posso dimenticare, tuttavia, che Berlusconi ha avuto almeno un merito: quello di creare per qualche tempo le condizioni per una democrazia dell’alternanza, vale a dire il contrario di un regime autoritario.