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 2010  ottobre 07 Giovedì calendario

KHODORKOVSKIJ, L’EX PUPILLO DA DIECI ANNI CHIUSO IN GABBIA


Il 25 ottobre è una data emblematica per la Russia che non si rassegna alla democratura imposta da Vladimir Putin, miscela sottile di democrazia formale e cesarismo (da cui deriva zarismo): il decennale dell’arresto di Mikhail Khodorkovskij, fondatore del colosso petrolifero Yukos, il più famoso detenuto politico del regime putiniano. Lui ha scritto un libro sulle sue prigioni: La mia lotta per la libertà, in Italia pubblicato dalla Marsilio, raccolta di saggi e corrispondenza con alcuni dei più noti scrittori russi, come B. Akunin, Boris Strugackij e Ljudmila Ulitskaja.

IN DIECI ANNI , sostiene con ironìa Khodorkovskij, il bilancio esistenziale da galeotto è in fondo positivo, stare dietro le sbarre può, in un certo modo, “rendere liberi”. Si sente un oligarca sconfitto, la sua creatura Yukos è stata smembrata e inglobata in altre società più “leali” col Cremlino, hanno tentato di distruggerlo nel morale e nel fisico. Invece di piegarsi, o di impazzire, il cinquantenne ex petroliere ha tenuto duro. Oggi è rispettato dall’opposizione. Quando viene pubblicata una sua lettera dal carcere, tutti leggono e discutono. Però è tagliato fuori: il testimone della dissidenza è nelle mani del blogger Aleksej Navalnij.

Khodorkovskij ne è consapevole. Difatti ha trasformato la sua battaglia in una implacabile lotta di principii. Ha sfidato Putin e il suo entourage, il che non è poco, sul terreno dei diritti civili. Il confronto è raggelante. A cominciare dal dibattito sulla giustizia: spudoratamente al servizio del Cremlino. D’altra parte (cito la sociologa Olga Krysthanovskaja), il 78 per cento di coloro che occupano posizioni di potere in Russia ha lavorato per il Kgb (a cominciare dall’ex tenente colonnello Putin) o nell’Fsb, il servizio federale che ha sostituito la vecchia struttura spionistica, oppure in entrambe le organizzazioni. Il sistema putiniano ha prodotto una nuova struttura statale in cui si combinano i tratti peggiori del capitalismo e l’autoritarismo tipicamente russo, miscelati, come spiega la scrittrice Ulitskaya, “con il servilismo di fronte al potere, la mancanza di una coscienza civile, enormi ambizioni imperialistiche e il furto assunto come regola”.

Nel 2003 Khodorkovskij era considerato l’uomo più ricco ed ambizioso del Paese (la rivista Forbes lo piazzò al sedicesimo posto nel mondo). Dieci anni dopo, il galeotto Khodorkovskij è diventato, come ha scritto il Sunday Times, “un clamoroso caso di vendetta” e di malagiustizia , vittima di una persecuzione economica-politica che nei meccanismi accusatori ricorda i famigerati metodi del-l’Urss. Accusato di frode fiscale e appropriazione indebita, Khodorkovskij è stato condannato nel 2005 ad otto anni di galera (quasi tutti scontati in una remota prigione siberiana, non lontano dal confine con la Cina). Alla vigilia della scarcerazione, sulla base di nuove accuse, è stato di nuovo rinviato a giudizio e si è buscato 14 anni. Ma le prove erano palesemente false. Grazie a una serie di ricorsi e a una fortissima campagna internazionale di protesta, la seconda sentenza è stata limata: in teoria, dovrebbe uscire nell’autunno del 2014. Ma si sta cercando di montare un terzo processo per incastrare definitivamente “l’oligarca ribelle”, stavolta con l’obiettivo di dimostrare che era a capo di un’organizzazione criminale (l’ex capo della sicurezza di Yukos, Alexej Pichugin è all’ergastolo, gli hanno attribuito la complicità in parecchi omicidi su commissione).

Dieci anni fa il padrone della Yukos era all’apice della sua folgorante ascesa, dopo i soldi puntava al Cremlino. Finanziava partiti d’opposizione in nome del pluralismo: “Solo una vera democrazia può favorire l’economia e lo sviluppo del paese”. Sfoggiava con abilità dialettica una retorica filo-occidentale e anticomunista, spesso si richiamava ai valori della dissidenza e all’intellighentsja degli anni ‘70 e ‘80. Più prudenti e pragmatici, gli altri oligarchi evitarono di andare in rotta di collisione con il Cremlino.

KHODORKOVSKIJ osò affrontare Putin tra le mura del Cremlino: “La corruzione si annida ovunque, più che mai dentro lo stesso governo!”. Ne scaturì un focoso alterco. Putin non perdonò l’impudenza del rivale. Decise che gliel’avrebbe fatta pagare. IE così fu. Colpire Khodorkovskij per colpire tutti gli oligarchi che non si sarebbero sottomessi al Cremlino. La logica dell’accusa, come ricorda la Ulitskaja, verteva sul concetto che il profitto generato da una transazione era “appropriazione indebita”. In base al codice penale, “il guadagno dietro questa operazione fu classificato come frode”. l mondo degli affari capì la lezione. Nessuno osò più criticare il Cremlino. Lo “schema Khodorkovskij” è stato applicato in questi dieci anni nei confronti di quasi 13 mila imprenditori, oltre diecimila sono finiti al gabbio, mentre la nuova nomenklatura putiniana li sostituiva mescolando affari e potere, in barba ai proclami del presidente contro il cancro della corruzione, contro la fuga dei capitali, contro l’inefficienza della burocrazia. Parole.