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 2010  ottobre 07 Giovedì calendario

COREA DEL NORD, ANCHE I DITTATORI SONO ILLUMINATI


Febbraio. Dieci del mattino. Aeroporto di Pyongyang. Corea del Nord. Un Antonov bimotore coi sedili in ferro e legno è appena atterrato. Partito tre ore prima da Pechino ha avuto un buon volo, senza scossoni. Il portellone si apre . Un vento appena accennato accarezza i capelli dei sei piloti e dei passeggeri mentre scendono la scaletta. Volti orientali, una trentina. Ordinati, silenziosi. In mezzo a loro un viso diverso, una corporatura diversa. Lui è occidentale, si chiama Giuseppe De Cagna, è l’uomo dei sogni.

“CREO CON MIO PADRE e i miei fratelli strutture di luce – racconta – illuminiamo spazi, costruiamo luminarie. Talvolta sono impianti così grandi che sembrano palazzi. Mio nonno avvia l’attività intorno agli anni ’30, in Salento. La mia famiglia è di Scorrano. Nonno Giuseppe porta la fabbrica a Maglie e da lì l’azienda, per sua volontà, non si muove più. Allora si lavorava nei paesi della zona, le luci erano attivate col carburo e si accendevano una alla volta. Poi, intorno al ’60, arriva papà Cesario e con gli anni cominciamo a lavorare anche al nord, soprattutto durante il Natale. Mio padre è uno che ancora oggi arriva in una piazza per il sopralluogo, si mette lì in silenzio e osserva. Dopo pochi minuti ha già la scenografia in testa. Vede ciò che ancora non c’è”.

Nell’87 i De Cagna varcano per la prima volta i confini. Si ritrovano a Houston. Devono illuminare con i loro giochi di lampadine un parco immenso. Una ‘galleria arcobaleno’ fa rimanere a bocca aperta i texani, sembra un film di Fellini portato a domicilio, altro che pizza, è un sogno che non si ferma. Come quasi ogni sogno. Arrivano in Giappone, nella Kobe del dopo terremoto, in Portogallo, in Turchia, in Spagna, in Israele, perfino i magazzini Lafayette a Parigi vengono illuminati dagli artigiani salentini. Fino a 400mila lampadine per una costruzione, i disegni adattati alla cultura del luogo: tunnel, spalliere, gallerie, frontoni, monumenti, colori a intermittenza, milioni di scatti che formano figure, che fanno tornare gli uomini bambini. “Un giorno chiama un collaboratore - riprende Giuseppe – mi dice che un coreano vuole vedermi a Verona. Nulla di strano, penso, a Seul lavoriamo già da anni. Prendo la macchina e parto. Quando arrivo negli uffici, un signore orientale garbato e ben vestito si presenta: sono l’inviato del Grande Leader. Io capisco e non parlo per dieci minuti. Mi chiede di partire di lì a poco per Pyongyang, c’è la biblioteca comunale da illuminare. Per il visto non c’è problema, questione di ore”. Passano davvero poche ore e Giuseppe, via Pechino, si ritrova su un Antonov bimotore, coi sedili in ferro e legno, in mezzo a volti sconosciuti. C’è la biblioteca del Grande Leader che lo aspetta. Arrivato a Pyongyang viene accolto con cortesia: il saluto nell’area autorità, una colonna di macchine che lo scorta in albergo e una stanza così grande e lussuosa da farci una festa. Sembra un capo di Stato. “Non c’è la chiave” dice Giuseppe al suo accompagnatore “non si preoccupi - risponde questo - qui nessuno tocca niente”. Da quel momento inizia il lavoro, l’osservazione dello spazio, le simulazioni al computer, l’attenta analisi dei coreani che riflettono su ogni proposta. Nel tempo libero visite in città con il sottosegretario incaricato e la sua scorta: “Viaggiando in auto ho visto ordine e pulizia, strade con quattro corsie e poche macchine, tante biciclette e una vigilessa a ogni incrocio. Migliaia di vigilesse a impartire ordini. E lì le stanze d’albergo possono restare aperte e lì le disposizioni si rispettano. Ma ho visto anche i cavi della luce scoperti, rabberciati col nastro isolante, roba che da noi è preistoria…”

VADA PER LA DECORAZIONE natalizia, decidono i coreani. Viene firmato il contratto e dopo dieci giorni Giuseppe torna in Italia. Prepara in poco tempo la struttura e la carica su un camion, pronta per essere portata in aeroporto. Ma Giuseppe non può chiamare, niente contatti diretti, nessun numero. Bisogna attendere. Un giorno, nell’azienda di Maglie, il telefono squilla: tutto è pronto, via con la spedizione. I tecnici italiani, tra loro i due fratelli di Giuseppe, arrivano in Corea del Nord insieme al materiale, montano il sogno di luci e fanno rientro a casa. Il Grande Leader è soddisfatto. Talmente soddisfatto che decide di tenere tutto: quelle lampadine infatti sono ancora lì, a illuminare volumi, dall’altra parte del mondo.

“Qualche tempo dopo arriva una telefonata - dice ancora Giuseppe - mi ringraziavano del lavoro, sottolineando che la mia era una delle poche aziende private italiane ad aver lavorato lì. Chissà poi se è vero… Io ho pensato a mio nonno che forse la Corea non sapeva neanche dove fosse… In novembre saremo a Hong Kong, a confrontarci con i maestri cinesi e poi a Sibiu in Romania, prima volta nell’Est Europa. Insomma, l’uomo non vive senza luce. Nonno Giuseppe lo aveva capito prima dei grandi registi che oggi in Salento vengono a girare i loro film. Ci ha solo giocato un po’. E’ ciò che facciamo anche noi oggi: per una festa di paese, per un centro commerciale avveniristico”. O per una biblioteca lontana, di un Grande Leader inaccessibile, di un luogo lontano, raggiunto con stupore a bordo di un Antonov bimotore. Alle dieci del mattino.