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 2010  ottobre 07 Giovedì calendario

LA GRAFIA DI PADRE PIO «SPIA DELLA VITA MISTICA TRA TORMENTI E AMORE»


Evi Crotti è la maggiore gra­fologa italiana. Allieva di padre Girolamo Moretti, il francesca­no che fu fondatore della grafo­logia moderna, ha a sua volta fondato, con il professor Alber­to Magni, suo marito, un Cen­tro studi di grafologia con tanto di scuola, riconosciuta e ap­prezzata non solo a livello na­zionale (il sito internet è www. evicrotti.com).
Ha analizzato la scrittura di Al­do Moro durante i giorni del se­questro. In collaborazione con Andrea Tornielli ha preso in esame i testi dei pontefici, da Leo­ne XIII a Benedetto XVI. È autrice di nu­merose pubblicazio­ni psicopedagogiche, ed è nota ai lettori de Il Giornale per aver a lungo collaborato con la nostra testata.
Signora Crotti, co­me ha lavorato sul­la grafia di San Pio da Pietrelcina?
«Ho avuto la possibili­tà di andare all’ospe­da­le Sollievo della Sof­ferenza, chiamata dal nipote, per analizza­re padre Pio attraver­so la scrittura. Ho vi­sto che c’erano mo­menti di sofferenza e di gioiosità. Soprattut­to volevo comprende­re il problema che c’era stato con le don­ne... ».
Cioè?
«La sua scrittura era particolarmente affet­tiva con certe donne che partecipavano a un gruppo di preghie­ra. Erano donne in gran parte più anzia­ne di lui, con le quali aveva creato un rap­porto di tipo filiale. Come con sua ma­dre ».
Come ha lavorato su questa materia?
«Ho analizzato il percorso emo­zionale, affettivo, relazionale contenuto nella sua grafia da quando aveva 25 anni fino alla morte».
Facciamo un passo indietro. Come si fa a trarre indicazio­ni psicologiche o addirittu­ra mistiche dalla calligrafia di una persona?
«La grafia dritta simboleggia ri­gidità. Quella di padre Pio è sempre fluida verso destra. Ab­biamo dei parametri: la grafia pastosa, la pressione sul foglio, il tipo di energia vitale che per­corre le lettere. Se la grafia è for­te e scorrevole vuol dire che la persona la investe bene. Se il tratto è leggero indica sensibili­tà e può avere una bassa soglia di tolleranza alle frustrazioni. Le lettere sono sfaldate, come nel caso di padre Pio, indicano un turbamento psichico e fisi­co che il soggetto sta vivendo».
Lei lo fa risalire alla sua espe­rienza mistica?
«Siccome l’uomo è fatto di ma­teria e di spirito o di psiche, noi vediamo la sofferenza che il sog­getto vive sia a livello fisico che psichico-spirituale. Secondo la traduzione corretta di Freud, per cui psiche significa anima».
Un uomo o una donna dicia­mo normali, che non vivono un rapporto così intenso con il trascendente, magari atee, non potrebbero avere una scrittura simile a quella di san Pio da Pietrelcina?
«Certo.Ma la psiche ce l’abbia­mo tutti. Quando vado dal me­dico e mi dice che non ho nien­te ma io non mi sento bene, vuol dire che somatizzo qualco­sa di interiore. Negli scritti di Al­do Moro si vede che, dopo esser stato condannato, la sua grafia diventa sofferta, complessa. Non c’è nessuna persona che non abbia una dimensione spi­rituale. Poi c’è la ragione che media. Se ragioniamo troppo diventiamo razionalisti. Anche l’ateo, se ha dei disturbi, nella scrittura lo dimostra».
Torniamo a padre Pio. Che conclusioni ha tratto dalle sue ricerche?
«Nei testi diciamo giovanili la scrittura inclinata verso destra indica una propensione affetti­va dell’autore. Si notava una certa emotività, data dalle mac­chie d’inchiostro che sembra­no dovute a delle scosse. Poi si comincia a intravedere una na­tura auto-aggressiva».
In che senso?
«La sua disciplina gli imponeva una sorta di compressione di sentimenti che non poteva esprimere all’esterno. Proba­bilmente somatizzava queste pulsioni».
Con l’andare del tempo la calligrafia di padre Pio sem­bra più ondosa...
«A trent’anni diventa più pasto­sa. Dovrebbe scorrere sul fo­glio, in realtà non è fluida. Cosa significa? Che in quel momen­to­padre Pio era scosso emotiva­mente. Era un uomo che viveva con pathos ogni cosa. A livello spirituale, perché era un uomo che amava Gesù. Ma anche a li­vello passionale, per cui poteva avere delle reazioni impulsi­ve ».
Con l’età subentra maggiore equilibrio?
«A 36 anni scrive “Mia carissi­ma figliuola“ a una donna. Qui la grafia esprime il trasporto ver­so le persone care con le quali condivideva l’amore per Gesù. La scrittura scorre in modo flui­do senza troppe scosse, come se facesse una sorta di training autogeno spirituale. Emerge il suo bisogno di amare».
Ci sono tracce dalle quali si può evincere l’esperienza delle stimmate?
«A cinquant’anni la grafia scor­re sempre inclinata verso de­stra e dimostra buona salute. Sembra quasi che neanche le avesse. A 72 torna la grafia con le scosse, diciamo un po’ oscu­ra, non si leggono bene le lette­re ».
Non sarà l’età?
«No, ci sono tante persone an­ziane che mantengono una gra­fia giovanile».
Perché subentra una grafia così irregolare?
«In quel momento stava sof­frendo molto, sopportava feb­bri anche oltre i quaranta dovu­te alle stimmate. Scriveva di aver ripreso le celebrazioni do­po tre giorni di sospensione».
Era anche una persona dal forte temperamento. Que­sto si vede nella sua grafia?
«Certo.A ottant’anni scrive an­cora “ figliolina mia“.Qui la gra­fia torna ad essere disturbata. Un tratto sempre presente nel­la sua scrittura è il bisogno di es­sere amato e di buttare addos­so all’uomo, uomo e donna, tut­to l’amore che aveva dentro di sé. La sua vita doveva essere spesa a servizio degli ammala­ti. Lui sapeva cos’era la sofferen­za... ».
Diceva che ha letto anche gli scritti delle ultime ore.
«Negli ultimi giorni la scrittura si fa leggera, quasi illeggibile. E non somiglia né a quella dei 25 anni né a quella degli ottant’an­ni. La grafia è discendente, è af­faticato. La sera del 22 settem­bre, morirà nella notte, ritorna pastosa.Può essere un’iperten­sione o un malessere di debilita­zione. Dopo poche ore muore. Deve scrivere “cappuccini“ ma si ferma a “cap“,ed è come sela penna gli sfuggisse”.
Era una persona tormenta­ta?
«Aveva alti e bassi dell’umore, in certi momenti si pacificava. Come se vivesse una situazio­ne conflittuale dentro di sé, for­se portata dalla vicenda delle stimmate e dalla sofferenza che gli provocavano».
Qual è la sua conclusione fi­nale?
«Aveva una partecipazione spa­smodica alla vita. Con la grafo­logia non posso dire se fosse o no Santo. Ci sono medici che fanno ricerche. Ma posso dire la sofferenza che viveva, fatta di amore e di tormento allo stesso tempo».