Renato Brunetta, Il Giornale 07/10/2010, 7 ottobre 2010
MENO TASSE, TAGLI, CUNEO FISCALE ECCO IL NUOVO PIANO DEL PDL
Sarebbe drammatico e da irresponsabili innescare dentro la legge di Stabilità una resa dei conti tutta ideologica tra le forze che compongono l’attuale grande coalizione che sostiene il governo Letta-Alfano. Non lo capirebbe l’Europa, non lo capirebbero i mercati, non lo capirebbero soprattutto gli italiani. I dati della crisi italiana sono ben noti per richiamarli ancora. Siamo di fronte alla più grave caduta del reddito dal dopoguerra a oggi. Consumi delle famiglie che sono crollati. Disoccupazione complessiva (disoccupati ufficiali + cassa integrazione) pari, se non superiore, a quella del 1929. Una condizione sociale disperata per la parte più debole del nostro paese. Un tasso di risparmio che si riduce, per far fronte alle necessità di mantenere, per quanto possibile, un tenore di vita decoroso.
Siamo rapidamente passati da uno choc «esogeno» (per riprendere la bella analisi di Salvatore Rossi nel confronto con gli anni ’92-93)a una nuova patologia «endogena». Come è dimostrato dal fatto che il tasso di crescita italiano è ormai disallineato rispetto ai partner europei. Loro crescono, seppure non come vorrebbero. Noi continuiamo a precipitare.
In tanto sconforto, un dato è stato trascurato. Dalla nascita dell’euro, per la prima volta, il saldo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti è in pareggio. Come ha scritto recentemente il Centro studi di Confindustria: non viviamo più al di sopra delle nostre possibilità. Giusta osservazione, da declinare tuttavia cogliendo le luci e le ombre che accompagnano questo giudizio. Il segnale positivo è la rottura di un rapporto di dipendenza dall’estero: non dipendiamo più dalle grandi istituzioni finanziarie per l’ulteriore collocamento del nostro debito pubblico. Se, come prevede il Fondo monetario internazionale, manterremo questo risultato fino al 2018, avremo congelato l’apporto necessitato di fondi esteri, vale a dire una percentuale pari a circa il 25%. Come nel caso del Giappone, potremo sperare in una maggiore stabilità finanziaria, nonostante l’alto debito accumulato.
Ma gli aspetti negativi sono, indubbiamente, sovrastanti. È sempre il Fondo monetario internazionale a dirci che per quella data (il 2018) il tasso di disoccupazione sarà pari al 9,8%. Una situazione insostenibile, che richiede una qualche spiegazione. L’equilibrio realizzato è di sottoccupazione. Di progressiva riduzione del potenziale produttivo. Ora: da che mondo è mondo, quando si verifica una situazione simile, sono le forze del mercato che mettono in moto un processo di riconversione produttiva in grado di alimentare un nuovo ciclo di sviluppo. Questo in Italia non è avvenuto. Non è avvenuto perché un neo statalismo di ritorno ne ha ritardato l’avvio,operando come freno in una pura azione di contrasto.
Se analizziamo i lunghi anni che ci separano dalla nascita dell’euro, i dati lo confermano. Rispetto al 2001, il deficit di bilancio italiano è rimasto inchiodato, pur con qualche piccola variazione, sulla soglia del 3%.
Conseguenza dei paradigmi tipici di un’economia sociale di mercato?L’esperienza europea smentisce una tesi, che è solo consolatoria. Nel 2002 Gerhard Schröder, alla testa di una coalizione rosso-verde, iniziò una dura azione per razionalizzare il welfare tedesco, in nome della «terza via». Non ebbe timore a rompere con la sinistra massimalista dell’Spd, guidata da Oskar Lafontaine e varare la cosiddetta Agenda 2010, che prese forma nelle 4 riforme cosiddette Hartz, dal nome dell’allora direttore risorse umane di Wolkswagen, che le ideò.
In Italia, purtroppo, quel coraggio finora è mancato. Eppure i suggerimenti, autorevolissimi, nel tempo non sono mancati. Valga per tutti,l’elenco di raccomandazioni che la Commissione europea ha fatto pervenire al nostro governo lo scorso giugno, nel chiudere la procedura per deficit eccessivo. Si tratta di sei punti che partono dal rispetto dei parametri finanziari (deficit e debito), ma che investono i gangli vitali di un’economia che si è ormai seduta: efficienza e qualità della pubblica amministrazione; riordino del sistema del credito; rigidità del mercato del lavoro; riduzione della pressione fiscale; libera concorrenza.