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 2010  ottobre 07 Giovedì calendario

ZANONATO, EX SCERIFFO ANTI IMMIGRATI CHE FINGE DI COMBATTERE I GIUDICI


Prima della maretta poi placata nel governo, il Pd Flavio Zanonato aveva mostrato tale energia sul caso Il­va da farsi notare come ministro dello Sviluppo economico. Go­dimento aveva suscitato nel sot­toscritto il progettato decreto per riattivare in ogni caso le ac­ciaierie Riva nonostante il se­questro giudiziario. Il provvedi­mento conteneva il principio che nessuno - neanche il magi­strato che confisca- può blocca­re un’industria danneggiando l’economia del Paese.Il giudice non è una monade onnipotente che agisce a capocchia, ma deve badare all’interesse nazionale. E, in ogni caso, alla politica spet­ta l’ultima parola. Il piacere per questo atteggia­mento zanonatiano nasceva dal contrasto con il premier Let­ta. Il giovane, sempre più cini­co, andava infatti dicendo che la magistratura in Italia non rap­presenta un problema, lo Stato di diritto funziona, ecc. Nel dir­lo, pensava ai guai del Cav, che banalizza­va per­disinte­resse umano e
opportuni­smo politico. Contempora­neamente, pe­rò, taceva gli altri disastri della nostra giustizia, massimo dei quali la totale imprevedibilità: tot capi­ta, tot sententiae . Bene. Se que­sto è Letta, mi sono detto, viva Zanonato che invece di aspetta­re che la toga si ravveda a babbo morto, le detta lui il comporta­mento: comunque tu decida, sappi che non puoi fare il guasta­tore.
Il decreto, strasbandierato, è rimasto però nel cassetto. Si è scelto un ripiego,per cui l’attivi­tà dell’Ilva è ripresa zoppican­do, senza tuttavia che nuove re­gole frenino in futuro la capric­ciosa discrezionalità degli er­mellini. La figura di Zanonato si è così ridimensionata e il filo si è riavvolto, riportandolo nei mo­desti panni di ex sindaco di Pa­dova sbarcato a Roma per tenta­re l’avventura da ministro.
Il sessantatreenne Zanonato è stato il primo a essere chiama­to «sindaco sceriffo». Infatti- co­munista dai tempi di Luigi Lon­go, dunque all’antica - non è un buonista alla Veltroni ma uomo di ramazza. Quattro volte primo cittadino (tre con elezione diret­ta)- dal 1993 al 2013, salvo inter­valli- per un totale di una quindi­cina d’anni, Zanonato ha fatto di Padova la città dei divieti. Mul­tò chi ciondolava per strada con la birra in mano, fece chiudere a mezzanotte i caffè del centro per evitare i capannelli vocianti di ragazzotti brilli, puniva clien­ti e lucciole con contrav­ve­nzioni da ca­pogiro. Cele­berrimo, l’in­nalzamento di un muro di metallo - lun­go 84 metri, al­to tre - per iso­lare Via Anel­li, assediata da spacciatori extracomunitari, che gli meritò l’epiteto tolkienia­no di Signore di Via Anelli . L’aneddotica rigorista di Zano­nato è infinita. Fa il paio col ca­ratteraccio, brusco fino al paros­sismo. Se ha i cinque minuti, esce di senno e insulta i colleghi in pieno consiglio comunale. In altri tempi, sarebbe andato in­contro a duelli e sbudellamenti poiché, piccolotto e rotondetto com’è,non ha certo il fisico del­lo spadaccino. Non è invece ran­coroso e i più lo considerano un burbero benefico. La prima tessera di Flavio fu quella dell’Azione cattolica,poi­ché era di famiglia operaia devo­ta. Crebbe in parrocchia e inse­gnò catechismo ai più piccoli. Cambiò piega a diciotto anni, dopo il diploma di Perito indu­striale. Si iscrisse a Filosofia e prese la tessera della Fgci. Fu, da allora, il classico burocrate co­munista, ciecamente obbedien­te al partito, complice e omerto­so. Trascurò anche la laurea, fa­cendo gli esami ma non la tesi. Entrato venticinquenne in con­siglio comunale, vi restò nei vari ruoli- consigliere, capogruppo, sindaco - trentotto anni (salvo un intermezzo, 1999-2004, alla Regione Veneto). Scalati i vari gradi del comunismo cittadino, toccò a lui introdurre il comizio di Piazza della Frutta in cui, il 7 giugno 1984, Enrico Berlinguer ebbe l’emorra­gia che lo ucci­se quattro gior­ni dopo. Nel 1989, chiama­to a Botteghe Oscure, quar­tiere generale del Pci, fu per un biennio re­sponsabile del­l’Ufficio emigrazione­immigra­zione. Tornato a casa col lustri­no del soggiorno romano, il par­tito puntò su di lui per la massi­ma carica cittadina, allora anco­ra in salde mani dc.
In attesa, fece il suo primo e unico quasi lavoro: dipendente di una coop edilizia rossa, la Cles. Vi parcheggiò un annetto (1991-1992) con il compito di trasportare borsoni con mazzet­te (si parlò di oltre cento milioni di lire). Li consegnava a impren­ditori per farli partecipare pro forma ad appalti che dovevano però essere vinti dalle coop. Quando intuì che il pm di Venezia, Car­lo Nordio, sta­va incrimi­nandolo, lo precedette con una me­moria difensi­va in cui am­mise che por­tava soldi, ma senza saperne lo scopo. Un inca­rico, aggiunse, del tutto margi­nale, che riteneva lecito e che chiunque avrebbe potuto ese­guire, essendo lui nella Cles l’ul­tima ruota del carro. «Di fronte a tale disarmante difesa - scrive il pm Nordio, prendendolo per i fondelli - l’accusa si arrende. È infatti impossibile dimostrare la sua volontà di concorrere a un reato come la turbativa d’asta che postula un’intelligen­za astuta». Per cui, dandogli del bietolone, Nordio archiviò tut­to, senza neanche un avviso di garanzia che lo avrebbe messo in cattiva luce.
Così, mondo da ogni ombra, Flavio scansò Tangentopoli e poté candidarsi a sindaco al po­sto del dc, Paolo Giarretta, che stava a sua volta inciampando nella giustizia. Incriminato per una cosuccia, il democristiano si dimise e il pdiessino Zanona­to ne occupò il posto. Appena ce­duta la poltrona, Giarretta fu sca­gionato. Poi, crollata la Dc, e pas­sato con Ppi-Margherita e Rosy Bindi, alleati del Pds, il medesi­mo fu risarcito dagli stessi comu­nisti padovani con un seggio al Senato.
Una volta sindaco, oltre alle sceriffate, Flavio fece proprio le cose che aveva impedito alla cit­tà di attuare quando era all’op­posizione. Finché le decisioni le prendevano gli altri, nulla anda­va bene. Quando invece toccò a lui distribuire gli appalti, tutto perfetto. Così, con il comunista, Padova ebbe le opere che i dc avevano predisposto. Nell’arco dei quindici anni di regno, si so­no schierati con Flavio anche i preti. Non solo la Curia, ma pure Cl, incarnata dall’imprenditore Graziano Debellini, amico di don Giussani, e magna pars del­la-Compagnia delle Opere pata­vina.
Zanonato è detto il ventrilo­quo di Pier Luigi Bersani, di cui è creatura. È lui che l’ha imposto a Letta come ministro, esigendo lo stesso dicastero (l’ex Indu­stria) che per due volte - nel 1996 e nel 2006- fu il suo e gli ha affiancato la stessa squadra che fu la propria.
Letta o non Letta, la prossima tappa del Nostro è la candidatu­ra nel 2015 alla presidenza del Veneto. Così, dopo Padova, an­che la Serenissima farà l’espe­rienza di questo politico che non spicca ma non molla, più ca­pomastro che stratega.