fra. gri., la Stampa 07/10/2010, 7 ottobre 2010
CANCELLIERI:”CHE EMOZIONE TORNARE NELLA MIA TRIPOLI”
La famiglia di Annamaria Cancellieri, il ministro della Giustizia, si considera «tripolina» doc. Suo marito e suo cognato sono nati a Tripoli. Suo nonno, arrivato a 6 anni, è cresciuto mangiando datteri e giocando nella sabbia con i coetanei arabi. Poi diede vita a una impresa di ingegneria idraulica. «Funzionario dello Stato che sbarcò nel 1912 a Tripoli subito dopo la conquista italiana ed ha vissuto tutta la sua vita sulla Quarta Sponda. Suo padre, Virgilio lavorava nel deserto, creando pozzi e condotte idriche. Era un ingegnere. Non era mai andato via dalla Libia, stava lì da sempre. Ci credeva fino in fondo. Si considerava più tripolino che italiano. Amava moltissimo quella terra. E ci rimase malissimo quando lo cacciarono».
L’ingegner Virgilio Cancellieri era arrivato bambino, a cinque o sei anni. Non si allontanò dalla Libia che per gli studi, effettuati in Italia. «All’epoca non c’era ancora la scuola italiana in Libia. Però si sposò nella cattedrale di Tripoli, ora moschea centrale della città».
Lei, la figlia che oggi è ministro, nel 1970 era tornata in Italia. Si era laureata a Roma e lavorava a Milano. Era ai suoi primi incarichi in una prefettura. Viveva da vicino però i tormenti dei genitori e degli altri zii che non potevano credere al precipitare della situazione. «Molti avevano capito che la situazione stava diventando delicata. Tanti erano andati via, non fidandosi del clima che si respirava dopo la cacciata di re Idris. Mio padre rimase fino all’ultimo». E rimase fregato? «Del tutto. Gli hanno tolto casa, impresa, terreni. Lo hanno rimandato indietro come profugo, su un aereo. E io, con i miei fratelli che lavoravano già tutti in Italia, andai apposta a Roma per accoglierlo all’aeroporto. Una storia dolorosa. Lo ricordo, era pallido da morire. Aveva 65 anni, in quell’epoca mi sembrava un uomo anziano. Quel giorno mi parve un vecchio, provato dalla vita. Incredulo dall’aver perso tutto. Gli ultimi giorni in Libia li aveva passati tra un ufficio e l’altro, aspettando certificati e bolli, con la speranza di avere poi dei rimborsi. Arrivarono: una cosa ridicola rispetto a quello che gli avevano portato via. Da qualcuno andarono nelle case per vedere che cosa aveva. Da noi, no. Per mio padre, però, fu davvero dura».
La loro vita era in Libia. Papà Virgilio, per via delle condotte idriche, s’incontrava spesso con i proprietari terrieri. Libici e italiani. «Certi capitribù arrivavano a casa nostra per discutere di lavori da fare e si portavano enormi bacili carichi di couscous. Personaggi vestiti con i barracani, che mai si muovevano dalle loro oasi o dalle città del deserto».
L’espulsione fu un tale choc «che poi lui la Libia se la sognava di notte». Ma per fortuna la vita continua. L’ingegner Virgilio si sistemò a Roma circondato dall’affetto dei figli. «Mio padre non è più potuto tornare in Libia. C’erano però dei tripolini che per anni quando passavano per l’Italia lo venivano a trovare. Il fattorino. Alcuni impiegati. Aveva sempre tenuto un ottimo rapporto con i dipendenti. E loro gli raccontavano come andavano le cose in Libia». S’informava della ditta che aveva creato? «No, non ne seppe più nulla. E i terreni coltivati: via gli italiani, finì tutto in sabbia. La cosa che ci colpì di più fu la fine del cimitero. Avevamo dei cari sepolti lì. Sapemmo che erano andati con le ruspe e che avevano rivoltato la terra».
E lei, Annamaria Cancellieri, è mai tornata in Libia? «L’anno scorso, per lavoro, come ministro dell’Interno. Mi sono emozionata perché mi hanno portato sotto la mia vecchia casa. Il palazzo era rimasto uguale. Ma tutt’intorno la città era completamente trasformata. Al posto del bellissimo lungomare, uno dei più belli del Mediterraneo ora ci sono un porto industriale e una grande strada. Non è più la città della mia infanzia. Con mio marito ci diciamo sempre che vogliamo tornare da turisti, ma non accade mai».